«In Chopin il suono del pianoforte si identifica con l’essenza dell’ispirazione: il suo pensiero musicale è intimamente, esclusivamente pianistico. Pochi artisti hanno avuto come lui il privilegio di una fantasia che sa realizzarsi così intimamente nella materia eletta, di una coincidenza così perfetta tra l’invenzione e la scrittura».



Così Riccardo Allorto ha descritto il rapporto fra Chopin e il suo strumento musicale, un’identificazione così profonda da far sì che il compositore facesse del pianoforte il proprio principale confidente, il mezzo di comunicazione attraverso il quale raccontare di sé ed esprimere inquietudini, aspettative, speranze e dolori.



Per Chopin la musica era dunque espressione di sé e della propria esperienza, un linguaggio equivalente, se non superiore, a quello letterario. Ecco quanto scrisse al padre all’età di 8 anni: «Mi sarebbe assai più facile manifestarti i miei sentimenti se fosse possibile esprimerli con la musica. Ma il più bel Concerto non sarebbe sufficiente a dirti tutto il bene che ti voglio».

All’amico Julian Fontana risponderà direttamente con la musica, piuttosto che con le parole: «Hai la risposta alla tua lettera sincera e vera nella seconda Polacca [op. 40]”. Chopin stesso ebbe a definire la musica come “la manifestazione del nostro sentimento espressa per mezzo dei suoni […] l’arte di esprimere i propri pensieri per mezzo dei suoni”.



Particolarmente eloquente di questa concezione della musica è lo Scherzo n. 1 op. 20, in Si minore, l’opera definita dagli studiosi di Chopin come "la prima delle sue grandi composizioni autobiografiche”.

Prima di inoltrarci nella guida all’ascolto del brano musicale, si rende necessaria una breve contestualizzazione storica. In ambito musicale lo Scherzo si presenta solitamente come terzo movimento di composizioni strumentali di ampio respiro (sinfonie, sonate) e la sua diffusione si deve a Beethoven che, in un certo senso, ne codificò le caratteristiche salienti (il tempo ternario e l’architettura in tre sezioni con una parte centrale chiamata Trio, seguita dalla Ripresa del tema iniziale). Per Scherzo si intende inoltre un brano che, per il suo ritmo vivace e la leggerezza dei contenuti, punta ad alleggerire la tensione, mira all’arguzia e alla giocosità.   

Nell’interpretazione di Chopin lo Scherzo subisce due importanti cambiamenti: innanzitutto diviene una composizione a sé stante e del tutto autonoma, un genere completamente nuovo, non più necessariamente connesso agli altri movimenti di sinfonia o sonata.

Un secondo aspetto importante riguarda poi la concezione del tutto personale che Chopin ha di questo genere musicale: da un’estetica tesa al divertimento e allo stupore si passa infatti al dramma. Gli Scherzi di Chopin sono opere tese a colpire nel profondo l’emotività di chi ascolta e in cui traspare con forza tutta la tensione interiore del compositore. 

In proposito Piero Rattalino ha osservato: «Più ancora degli Studi, il primo Scherzo è un’opera rivoluzionaria. Chopin adotta lo schema formale dello Scherzo beethoveniano, ma per fini espressivi del tutto estranei a qualsiasi sentimento di gaiezza o di umorismo. Il fatto rivoluzionario è però rappresentato, più ancora che dal senso espressivo, dal contenuto musicale […]. Tutta la composizione è strutturata su una tensione armonica, e quindi emotiva, di estrema violenza […] ancora accresciuta dal fortissimo contrasto che, nella parte centrale, è offerto dalla citazione di un dolce canto natalizio polacco».

Chopin compose lo Scherzo n. 1, op. 20  fra il 1831 e il 1832, un periodo denso di difficoltà per il compositore. Il 19 novembre 1830 la Polonia, la patria tanto amata, insorse contro l’occupazione zarista; la situazione politica instabile preoccupò fortemente Chopin, che temeva in particolare per le sorti delle persone a lui care. Quando scoppiò la rivolta il musicista si trovava a Vienna, città dove era giunto con l’aspettativa di avviare la sua carriera artistica, ma che, al contrario, lo emarginò proprio a causa delle sue origini.

L’insurrezione polacca non era ben vista dai cittadini di Vienna, che, pur accogliendo ufficialmente Chopin nei propri salotti, non persero occasione per umiliarlo e isolarlo. In una lettera all’amico Jan Matuszyński scriveva: «Nei salotti faccio finta di essere calmo, ma appena tornato a casa scaglio fulmini sul pianoforte».

In una lettera del Natale 1830 alcuni studiosi hanno visto l’atto di nascita di questo Scherzo: «Dal momento che era la Vigilia di Natale […] tutto solo, a passo lento, verso mezzanotte me ne sono andato alla Cattedrale di Santo Stefano. […] Il silenzio era assoluto; talvolta solo il passo del sagrestano che accendeva le candele in fondo al tempio lo interrompeva. Dietro di me una tomba, sotto di me una tomba… mancava solo un sepolcro sopra di me. Dentro mi scaturì allora una musica tetra… e sentivo più che mai il mio assoluto abbandono».

Lo stato di rabbia, nostalgia e frustrazione che Chopin viveva in questo periodo è chiaramente espresso da questo Scherzo, che si apre in un’atmosfera decisamente tesa e inquieta, con due audaci accordi, fortissimi e dissonanti (presto con fuoco) [0:00].

Dopo questa brevissima introduzione ecco che viene annunciato il primo tema, costituito da due elementi. Il primo è un furioso motivo di carattere ascendente, “quasi si volesse lanciare un grido al cielo” come ha osservato Gastone Belotti, un’espressione furente, quasi un tentativo di ribellione [0:07].

Il secondo sembra l’esito immediato di questo tentativo, un motivo discendente in cui il ritmo musicale si fa meno serrato, quasi stanco, il suo incedere è spezzato, come il cammino zoppicante di un uomo preso dallo sconforto [0:26].
     
Questo primo tema, costituito come abbiamo visto da due elementi (il furente tentativo di ribellione a un presente non desiderato e lo sconforto per l’impossibilità di uscire con le proprie forze da una situazione simile), è ripetuto varie volte, in maniera quasi ossessiva, come se nell’esperienza di Chopin in questo momento non ci fosse altro spazio che per l’inquietudine e il dolore.

C’è chi ha visto in questa ripetizione insistita dello stesso tema una sorta di debolezza che mina l’architettura del brano, indizio di una produzione musicale di Chopin non ancora del tutto matura (Chopin aveva poco più di 20 anni quando scrisse questo Scherzo). Tuttavia, anche se a un ascolto superficiale la prolungata reiterazione del primo tema può ingenerare monotonia, la ripetizione ossessiva ha in questo caso una funzione espressiva notevole, che rende bene l’idea dello stato d’animo di un uomo senza apparente via d’uscita.  

Su questa situazione di forte contraddizione si innesta, quasi a sorpresa, una dolce e nostalgica melodia; si tratta del trio, il secondo tema dello Scherzo, un motivo popolare polacco chiamato Ninna nanna piccolo Gesù (Lulaiże Jezuniu), una melodia natalizia che Chopin aveva ascoltato più volte in patria. Il tempo si fa molto più lento, il canto, finalmente sereno, è accompagnato da ampi arpeggi e da note ribattute in abbellimento nel registro acuto. C’è chi ha visto nella ripetizione insistita della nota Fa# un’allusione al rintocco delle campane, un possibile ulteriore richiamo alla patria. La nostalgia di casa affiora e crea un momento di tenerezza in cui il musicista si culla, un tuffo nella felicità del passato, una sorta di dolce evasione [4:14].

Ma dopo questo istante di tenerezza, il canto lievemente si dissolve e ritornano, senza alcun preavviso, i due violentissimi accordi iniziali [7:03]: «È la realtà che irrompe e distrugge il sogno, è il brusco e duro richiamo al presente che la nostalgia non può modificare e che è rappresentato dalla Ripresa» (Belotti).

Torna allora anche il primo tema [7:17], con la sua commistione di rabbia e scoramento, e sfocia infine in una coda drammaticamente incalzante, che conclude l’opera in un turbinoso ed esasperato crescendo [9:12].

La coda è il momento culminante del dramma: l’immersione in un ricordo appagante del passato non libera da un presente soffocante, piuttosto la nostalgia per ciò che si è vissuto un tempo lascia l’amara sensazione di qualcosa che è andato perduto. Il tentativo di riconquistarlo si tramuta in una corsa irrequieta e affannata, espressione, come direbbe Baudelaire, di una «malinconia esasperata, di una esigenza nervosa, di una natura esiliata nell’imperfetto che bramerebbe possedere subito, in questo mondo, un paradiso rivelato»

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