Duecento anni fa, il primo marzo del 1810, nasceva a Zelazowa Wola, non distante da Varsavia, Fryderyk Chopin. Questa ricorrenza verrà celebrata con un ricco calendario di concerti e con l’uscita di numerose pubblicazioni e incisioni nell’anno che segna il bicentenario di un’altra nascita eccellente, quella di Robert Schumann. «È l’occasione buona per  conoscerli meglio entrambi – confida Piero Rattalino a ilsussidiario.net -. Per poterlo fare bisogna però attraversare la loro vita (tragica, non eroica) senza idealizzazioni. Per incontrarli non bisogna temere di trovare la pazzia nella musica di Schumann e la malattia in quella di Chopin».
Rattalino, pianista, critico musicale e autorevole studioso del pianoforte e dei suoi interpreti, ha scritto per l’occasione Chopin racconta Chopin (Laterza), mettendosi nei panni del compositore polacco e scrivendone il diario, come già aveva fatto con Mozart. In quest’intervista ci aiuta a riscoprire la vita di Chopin e la sua musica.



Se dovesse indicare alcuni fatti decisivi della vita di Chopin da tenere presenti quali sceglierebbe?

Innanzitutto, sono tre le città che hanno segnato la sua vita: Varsavia, Vienna e Parigi. Potremmo partire dal soggiorno di 8 mesi a Vienna (1831). Avrebbe dovuto essere ben diverso da come si rivelò, ma cambiò la sua vita.
Il progetto era quello di imporsi in quella città come pianista, scendere a Milano per studiare l’Opera italiana, risalire a Parigi e rientrare in Polonia per creare l’Opera nazionale. Quello che aveva fatto Michail Glimka per lo zar.
Le classi colte polacche puntavano molto su questo, ma Fryderyk a Vienna trovò le porte sbarrate e non riuscì a guadagnare molto, pesando, suo malgrado, sulle finanze del padre. Sfumate le illusioni, iniziò a rimpiangere la felicità perduta di Varsavia. Questa tristezza fece di lui un compositore diverso da prima. Geniale lo era sempre stato, ma non si era distinto dagli altri e non si era ancora imposto come genio.
 
Cosa rimpiangeva di Varsavia?



Varsavia forse era provinciale, non gli aveva dato quella formazione che lo avrebbe potuto far diventare un enfant prodige, ma era la sua casa e gli aveva dato la felicità.
Ebbe un’infanzia normale, pur essendo il beniamino dell’aristocrazia. Il padre non era un impresario come era capitato a Mozart o a Liszt, ma un professore che doveva pensare anche alle sue tre figlie e gli fece fare il Liceo. Poi il Conservatorio, dove ottenne il diploma di Composizione.

Cosa rappresentava Chopin per la Polonia?

Gli aristocratici, come dicevamo, volevano che diventasse un grande compositore d’opera, il genere che trionfava allora, molto più della musica per pianoforte. Per questo rimasero delusi, anche se con il passare del tempo capirono che Chopin li aveva rappresentati come nessun altro avrebbe potuto fare. Ad oggi infatti, anche se ci hanno provato musicisti come Paderewski o Moniusco, non esiste un Wagner o un Verdi polacco.



E cosa ha significato per il pianoforte?

Il paradosso di Chopin consiste nell’aver composto per una classe sociale ristretta e culturalmente preparata, ma la forza dei contenuti umani della sua musica era tale da permettere a Franz Liszt di esteriorizzarla.
Liszt ha infatti inventato il recital pianistico per le grandi sale da concerto, nelle quali ha portato la musica di Beethoven e di Chopin, teatralizzandola.
I grandi interpreti che hanno proseguito sulla strada di Liszt hanno così ricevuto i rimbrotti di coloro che conservavano le memorie dello stile chopiniano autentico. Chopin è perciò diventato una delle colonne portanti del repertorio pianistico, anche se indubbiamente c’è stata una forzatura.

Cosa intende per teatralizzazione? In cosa consiste questa forzatura?

È come se un attore prendesse delle novelle e le portasse in uno spettacolo teatrale. Le forzerebbe, un po’ come hanno fatto Gassman, o Benigni, con la Divina Commedia. Chopin non aveva scritto per le grandi sale da concerto.

Quali sono a suo parere le peculiarità del pianismo di del compositore polacco?

Una grande inventiva, raramente infatti ricorre a stereotipi come scale e arpeggi, ma è in grado di reinventarsi sempre. Una timbrica soffocata e un cantabile molto particolare, anche se nei grandi interpreti di oggi questo cantabile ci viene proposto nella visione di Liszt.

Quali sono secondo lei le vette compositive raggiunte da Chopin?

 

A mio parere i Preludi, 24 pezzi sui quali lavora 3 anni. Ventiquattro differenti caratteri e continui passaggi dal male al bene. Una specie di dramma cosmico. Sul piano formale la Polacca Fantasia, che esce dagli schemi dell’epoca.

Prima ha parlato di “stile chopiniano autentico”. Cosa intende?

La musica di Chopin, lo dicono molte testimonianze, viveva di pochissimi contrasti. Liszt invece sui contrasti puntava molto, anche perché doveva affrontare le grandi sale.  

In una recente intervista il grande pianista Maurizio Pollini ha definito Chopin un “genio isolato”, che non aveva alle sue spalle una grande tradizione e che non ha avuto un’influenza enorme sui musicisti venuti dopo di lui. È d’accordo?

Per quanto riguarda le sue tradizioni si era formato nello stile Biedermeier, un genere poco studiato che unisce classicismo viennese e Opera italiana. Riuscì poi a creare uno stile personale che però, occorre dirlo, ha avuto una grandissima influenza su tutti i compositori della seconda metà del secolo, almeno fino al 1914. La sua armonia infatti ha influenzato Ravel, Debussy, ma anche Wagner.

Com’è evoluta l’interpretazione di questa musica da Liszt in poi?

Le prime grandi testimonianze della musica di Chopin a livello interpretativo sono quelle di Paderewski. Si tenga poi conto delle rare e molto originali incisioni di Ferruccio Busoni. Proseguirei con due interpreti opposti come Afred Cortot e Rachmaninoff, poi Backhaus, Rubistein, Arrau, Horowitz, Arturo Benedetti Michelangeli. Perfino Friedrich Gulda ci ha lasciato qualcosa di decisamente importante.

Il suo elenco non comprende i grandi pianisti che possiamo ascoltare oggi nelle sale da concerto. Come mai?

A mio parere nell’ultimo mezzo secolo ci sono stati molti interpreti importanti di Chopin, ma non dei “mattatori” come quelli che ho appena elencato. Rimarranno nella storia, ma sono il frutto di un’epoca che ha puntato tutto sulla struttura, su valori musicali puri e strutturali, di forma. Quelli a cui facevo riferimento, invece, puntavano più sulla psicologia di questa musica.
Io sono convinto che in Chopin l’aspetto psicologico prevalga su quello formale. Per questo penso che per avere nuovi interpreti della statura di Cortot e Rachmaninoff sia necessaria una revisione dei criteri interpretativi.

Cosa intende?

La tendenza che ha preso piede è quella di uno Chopin classicheggiante e non più romantico.
La caratteristica della classicità, in estrema sintesi, è quella di considerare il mondo come cosmos ordinato, quella del romanticismo e di considerarlo un caos disordinato. Se l’interprete considera il mondo come cosmos gli aspetti psicologici di Chopin verranno eliminati.
Chopin era invece uno che languiva, piangeva, come emerge dalle sue lettere. Questi aspetti nel tempo però sono stati bollati come “femminei”, poco virili e su di loro ha prevalso l’aspetto strutturale, che comunque ha una sua importanza. Ciò che poteva passare per sentimentalismo è stato tolto di mezzo per puntare su sentimento e virilità. Ma la virilità in Chopin è una conquista, non un dato di fondo.

Quali esecuzioni potrebbero esemplificare questi concetti?

Se si ascolta il Valzer op. 34 n. 2 eseguito da Benedetti Michelangeli si sente un uomo accasciato dal dolore. C’è qualcosa di verminoso direi, di "malato" al suo interno. Se si ascolta lo stesso brano eseguito da Rubinstein si potrebbe pensare di trovarsi davanti a uno stoico.
A mio parere Chopin è più vicino a quell’aspetto che Michelangeli metteva in rilievo, anche se, come nel caso della Polacca Eroica, questo non vale sempre.

A conferma di quanto diceva prima, un pianista della nuova generazione come De Maria ha recentemente sottolineato di non volersi allineare all’immagine “debole e malaticcia” della musica di Chopin e di volerne mettere in rilievo l’aspetto epico…

È proprio qui il punto, a mio parere la musica di Chopin è “malaticcia” e morbosa. Non penso che gli si faccia un gran servizio a farlo diventare un Beethoven.

Da ultimo, quali sono le incisioni a cui non può rinunciare?

Sicuramente i Preludi eseguiti da Cortot o da Arrau e la Sonata n. 2 in Sib minore eseguita da Rachamninoff o da Vladimir Horowitz.

(Carlo Melato)