Cinque giorni prima di cadere definitivamente in preda alla follia che avrebbe accompagnato gli ultimi anni della sua esistenza, Schumann, come racconta la moglie Clara, ricevette la visita notturna di due compositori da lui molto amati: Franz Schubert e Felix Mendelssohn-Bartholdy. I due gli cantarono un meraviglioso tema che Robert si affrettò ad annotare e sul quale scrisse, con grande rapidità, una piccola ghirlanda di variazioni.
Fino a qui, pare, nulla di strano. Se però confrontiamo temporalmente l’evento (febbraio 1854) con alcune date significative della vita dei due “ospiti” (Schubert muore nel 1828 e Mendelssohn nel 1847) ci troviamo immediatamente catapultati nel cuore del dramma schumanniano, con gli ultimi giorni prima del fatidico tentativo di suicidio (cui seguiranno due anni di internamento in una struttura per alienati mentali) segnati da una presenza sempre più angosciante di voci celesti ed infernali fino alla gradita “visita” dei due amati colleghi nella notte tra il 17 ed il 18 febbraio.
Eppure tutto questo, tutta la psicologia, la psicopatologia o l’aneddotica, non danno ragione in nessuna maniera dell’intimo nocciolo della produzione schumanniana che, nel suo estremo approdo (le Geistervariationen – Variazioni “degli Spiriti”, ultima opera del musicista) ci permette ancora una volta di constatare come l’arte veramente grande parta dall’uomo ma non parli solo dell’uomo (in una sorta di continua confessione autobiografica dell’artista), affermando qualcosa sul mondo e sul suo significato al di là della stessa volontà del compositore.
Nessuna migliore controprova può darsi se non l’ascolto disponibile della meravigliosa composizione schumanniana.
Il brano si apre [I – 0’01”] con il dolcissimo, intimo e pacifico Geisterthema in Mi bemolle maggiore, inizialmente costruito su un pedale di tonica (al basso troviamo spesso il mi bemolle). La seconda parte [I – 0’48”] poggia invece su un pedale di dominante (al basso c’è sempre – talvolta implicitamente – il si bemolle). Nel momento di maggiore instabilità esistenziale Schumann edifica (riceve in dono?) un tema cha ha come caratteristica precipua quello di essere costruito “sulla roccia” ovvero sui due gradi più importanti (Tonica e Dominante) della scala.
Jörg Demus, Pianoforte
Così, stranamente, il Geisterthema ci appare come un punto d’arrivo ancor più che come un esordio: sembra davvero l’incarnazione di quella “musica lieta” che il compositore aveva inseguito per tutta la vita senza mai davvero trovarla.
Un parallelo si impone alla nostra riflessione. In altra epoca e in altro contesto Bach apre una Cantata funebre (la BWV 106 Actus Tragicus) con una paradisiaca Sonatina (singolarmente ancora nella tonalità di Mi bemolle maggiore) in cui siamo messi di fronte alla bellezza della luce ultraterrena prima dell’inizio del dramma. Un modo molto eloquente per dire che la speranza non è “dopo” ma qui, adesso, in questo istante, l’unico in cui si può dischiudere il dono della pace.
Così, in Schumann, la prima Variazione [I – 1’50”] si mantiene fedele al modello anche se, introducendo una linea interna ritmicamente più mossa e tormentata, scardina quella persistenza dei gradi fondamentali che caratterizzava il tema. È come se assistessimo a una vera e propria prova cui viene sottoposto il materiale di partenza: quella pace può davvero alimentare una certezza capace di sfidare ogni circostanza? Se esiste uno strumento adatto a simboleggiare questo percorso quello è certamente il Tema con Variazioni.
Jörg Demus, Pianoforte
Così la seconda variante [I – 3’18”] “sdoppia” il tema che dialoga con se stesso seguendo un procedimento canonico non rigoroso. È una sorta di “introspezione” del (e sul) tema che sembra voler saggiare le sue potenzialità interne, quasi domandandosi: “cosa sono in grado di fare?”.
Con la terza Variazione [I – 5’03”] gli ornamenti della linea principale (che resta comunque sempre chiaramente riconoscibile) sembrano mimare figure di danza quasi settecentesche. Mentre il tema scende sempre più “in profondità” (anche letteralmente) una ghirlanda spensierata lo circonda ottenendo lo strano effetto di offrire alla nostra contemplazione qualcosa di serio che però non diviene mai “serioso” o pesante.
La successiva quarta Variazione [I – 6’50” e prosegue in II – 0’00”] è una dolente parentesi in cui la sofferenza e una nostalgia apparentemente inestirpabile tengono banco. L’elegiaca tonalità di Sol minore serve a Schumann per scandagliare le più sottili sfumature del cordoglio. Eppure, nonostante tutto, il tema, pur trasfigurato in una sorta di marcia funebre, rimane riconoscibile, resistendo a ogni tentativo di cancellazione. La tristezza, sembra dirci la musica, è parte ineliminabile della vita. La vera questione è se questa insoddisfazione sia nemica dell’uomo (che deve dunque tentare di fuggirla) o se possa in qualche maniera costituire un segnale, un prezioso suggerimento sulla vera natura dell’esistenza e del suo significato.
Jörg Demus, Pianoforte
L’ultima parola è affidata alla quinta Variazione [II – 1’43”], nuovamente nella tonalità iniziale. Qui Schumann, lontano da ogni ottuso e irragionevole ottimismo, tenta una sintesi (più espressiva che musicale) dell’intero percorso.
L’estrema suggestione è dunque un’inquietudine (ben simboleggiata dall’inesausto movimento che “disarticola” la melodia del Tema) che, lungi dall’arrestarsi in uno sterile lamento sulla condizione umana, è continua febbre e tensione verso qualcosa di ultimamente non pienamente definibile.
Jörg Demus, Pianoforte
A questo “misterioso” termine Schumann non può rinunciare, tanto che, nell’ultima battuta della composizione, sentiamo ancora risuonare (ed è l’ultimissimo lascito musicale cosciente di Schumann prima del definitivo crollo delle sue facoltà psichiche) le due note (dominante e tonica) che costituivano l’ossatura del Tema.
Questo semplice e commovente tocco conclusivo (simbolo musicale del desiderio di un terreno solido su cui poggiare) ha il potere di richiamare alla memoria tutto l’itinerario fatto con la potenza di una domanda cruciale lasciata sospesa.
Forse proprio in questa questione aperta e fremente possiamo trovare la chiave di lettura dell’intera opera Schumanniana e la sua capacità, ancora attuale, di parlare al cuore degli uomini di ogni tempo ridestando in ciascuno quel coraggio nella ricerca che, solo, può dare gusto all’esistenza.
Non è anche questo il compito di un vero Maestro?