Benché oggi sia noto soprattutto come sinfonista, Sammartini a Milano svolse prevalentemente l’attività di compositore di musica sacra e al momento della morte, nel 1775, occupava non meno di undici cariche come maestro di cappella presso altrettante chiese o congregazioni: non a caso Charles Burney, dopo il suo viaggio a Milano nel 1770, scrisse che ‘‘San Martini è Maestro di Cappella di metà delle chiese milanesi; il numero delle sue Messe è quasi infinito’’.
Di questa sterminata produzione sacra oggi ci sono pervenute solo 28 composizioni, la maggior parte delle quali – 16 brani in tutto – si trova nella biblioteca musicale del monastero benedettino di Einsiedeln.
Di questo importante fondo svizzero fanno parte anche cinque preziosissimi unica sammartiniani (esemplari unici al mondo!) che, se non fossero stati conservati dai nostri benedettini, oggi sarebbero irrimediabilmente perduti per sempre.
La presenza ad Einsiedeln del Fondo Sammartini e di molte altre fonti musicali milanesi si spiega grazie ai rapporti strettissimi che i benedettini del monastero intrattenevano con Milano.
All’epoca, i monaci di Einsiedeln dirigevano a sud delle Alpi il collegio benedettino di Bellinzona, che avevano rilevato dai Gesuiti di Milano nel 1675. Quivi, pur sotto il dominio politico di Uri, Svitto e Untervaldo, forte era l’influsso culturale della Lombardia e spesso si eseguiva musica perlopiù sacra proveniente da Milano.
Durante le vacanze scolastiche, poi, i monaci di stanza a Bellinzona compivano frequenti escursioni nella città lombarda, dove potevano ascoltare la musica che si eseguiva nelle chiese e da dove ripartivano per il Ticino carichi di nuove partiture musicali.
Queste ultime, alla fine del loro peregrinare, trovavano la via per il “Mutterkloster” di Einsiedeln, dove la musica svolgeva un ruolo molto importante e lo stile italiano e in particolare quello milanese furono in voga a partire dalla seconda metà del Settecento: l’abate principe del monastero Nikolaus Imfeld, ad esempio, di passaggio a Milano nel 1754 non perse l’occasione per assistere alla rappresentazione d’un’opera di Galuppi, mentre Marianus Müller, successore di Imfeld dal 1773, studiò addirittura composizione nella capitale lombarda col maestro Giuseppe Palladino.
Come si vede, questi furono i principali canali attraverso cui la musica di Sammartini e di tanti altri compositori milanesi giunse nel monastero di Einsiedeln, dove si è conservata fino a noi lontano da guerre, saccheggi e devastazioni. Uno dei più bei brani di Sammartini di questo fondo è senz’altro il Miserere in Do minore (elenco J-C 112), composto per la liturgia romana.
Quest’opera, del 1750, assume una posizione di rilievo non solo all’interno della produzione sacra di Sammartini ma anche nel contesto dell’intera musica liturgica milanese di rito romano, la quale – a differenza della musica destinata alle chiese diocesane di rito ambrosiano – era caratterizzata dal ruolo importantissimo dell’orchestra.
La predilezione dei milanesi per l’uso massiccio della musica strumentale in ambito sacro è testimoniata dalle ampie introduzioni orchestrali, chiamate addirittura sinfonie, che potevano estendersi per oltre cento battute prima dell’entrata del coro. In netto contrasto con questa pratica sta invece il Miserere che, a differenza di quanto appena visto, non presenta alcuna sinfonia introduttiva.
Evidentemente la rinuncia ad impiegare ‘‘sinfonie di spirito e fuoco’’ è dettata in questo caso dalla destinazione liturgica funebre del brano – l’unico Miserere di Sammartini a noi noto – per la cui composizione egli recuperò l’antico cantus firmus del salmo 50 intrecciandolo magistralmente al moderno stile concertato: l’orecchio attento lo può sentire cantato dal coro nei movimenti Miserere, Asperges me e Sacrificium.
Tuttavia, pur rinunciando all’impiego d’introduzioni strumentali d’ampio respiro, Sammartini decide di affidare tutto il materiale tematico delle sezioni Miserere e Sacrificium proprio all’orchestra mentre al coro riserva la declamazione in canone dell’austero cantus. Il committente di questo Miserere era certamente una personalità molto importante: lo dimostra l’altissima qualità della fattura che eleva questa pagina, per profondità e ispirazione, ben al di sopra di altri brani sacri composti da Sammartini per occasioni più ordinarie.
Egli doveva essere anche molto facoltoso, come si evince dalla ricchezza dell’organico orchestrale, in special modo dei fiati, e dall’impiego di due soprani solisti. Sulla base di questi indizi, gli studiosi Jenkins e Churgin hanno ipotizzato che il Miserere fosse stato eseguito nell’ottobre 1751 – un anno dopo la composizione – in occasione delle celebrazioni per la traslazione del corpo di San Carlo Borromeo.
Oggi, siamo propensi a respingere tale congettura e crediamo invece che la composizione nacque per una commemorazione extra liturgica promossa dalla congregazione del Santissimo Entierro, alla quale appartenevano i membri dell’alta nobiltà milanese – inclusi i governatori Von Daun, Cristiani, Pallavicini, Von Harrach, Firmian e, fin dal 1650, i monarchi asburgici, da Filippo IV a Maria Teresa – e di cui Sammartini, guarda caso, era maestro di cappella.
(Christoph Riedo)