Nel catalogo di Chopin compaiono alcuni brani (non molti in verità) che non appartengono ad alcuna raccolta (Studi, Preludi, Valzer, Mazurke, ecc.) e che incarnano in qualche maniera quello spirito di ricerca che caratterizza l’operare artistico del grande compositore.

Oggi ci vogliamo occupare in particolare della Fantasia in Fa minore op.49, una pagina tra le più articolate e complesse dell’intera produzione del musicista.



Composta nel 1842, quando l’autore aveva 32 anni, la Fantasia mostra perfettamente la dicotomia presente nell’anima di Chopin in quanto se da una parte (come suggerisce il titolo) il brano rifiuta ogni costrizione formale, dall’altro lo “spirito di geometria” del polacco lo spinge a dare vita a una struttura varia e vitale, assolutamente adatta ad accogliere il caleidoscopico materiale musicale.



Il brano inizia in maniera enigmatica [ 0’11”] con un misterioso disegno discendente (es.1) dal chiaro ritmo di marcia, immediatamente seguito [0’18”] da una risposta melodicamente e armonicamente più articolata…

Es. 1


Arturo Benedetti-Michelangeli, pianoforte

Quello che notiamo immediatamente è la singolarità dell’assunto di partenza. Chopin infatti unisce una melodia cantabile a un incedere marziale creando un ibrido che non ha molti precedenti. Lirismo e virile determinazione, due poli che potrebbero ben rappresentare l’essenza stessa dello stile chopiniano (Schumann, con l’icastica capacità di definizione che gli è propria, ebbe a definire le opere di Chopin “cannoni sepolti sotto i fiori”). 



Dunque partiamo da una contraddizione, ma si tratta di una contraddizione che è l’anima dell’ “io narrante” del brano.

Proprio in virtù di questa sorta di (metaforico) autoritratto dell’Autore (sia detto per inciso: le note presenti nel nome Fréderic, tolte le ripetizioni, sono proprio F [fa] E [mi] D [re] e C [do], esattamente coincidenti – fatte salve le alterazioni – con le note in rilievo nell’esempio 1) possiamo comprendere meglio la comparsa – dopo una incredibile, improvvisa deviazione alla tonalità di Mi maggiore [1’04”] –  di movenze quasi di Notturno [1’19”], altra forma musicale essenzialmente chopiniana ma difficilmente conciliabile con quanto lo precede.

Arturo Benedetti-Michelangeli, pianoforte
 

Sul piano della successione delle tonalità poi troviamo che, quasi a voler rendere ancor più evidente il legame tra elementi apparentemente contraddittori, questo nuovo episodio segue precisamente la linea discendente dell’es. 1 (Fa Maggiore – Mi bemolle Maggiore – Re bemolle Maggiore).

A chiudere questa prima sezione Chopin pone un breve passaggio [2’15”] che, a una sorta di “domanda” accordale fa seguire una ripresa variata del misterioso incedere dell’inizio [2’31”].

Per essere precisi la prima parte del brano non si conclude ma piuttosto sfocia direttamente nella seconda che, sulla scia delle dicotomie che paiono reggere l’intera pagina, mostra caratteri nettamente differenti.
Se finora il ritmo è stato chiaramente scandito (con l’onnipresente figura di marcia) ora invece assume un carattere vago e quasi improvvisativo.

Tutto l’episodio [2’40”] sembra davvero la trascrizione di un’improvvisazione estemporanea, con le sue continue fermate e ripartenze e gli incessanti cambi di tonalità.  A uno sguardo più attento notiamo però che la figura utilizzata da Chopin (es. 2A) non è altro che una variante trasposta di quelle quattro note (confronta es.2 B e 2 C con es. 1) che avevano già ampiamente informato di sé il pannello iniziale.

Es. 2

Questo episodio viene presentato due volte (partendo in Fa minore e in Mi bemolle minore) e si precipita nell’inquieta melodia che segue [3’39”] e quindi nel vivace pannello successivo [3’34”] in tonalità maggiore.
Anche qui una brusca interruzione [4’08”] toglie letteralmente la conclusione all’episodio e ci proietta verso altre e più inquiete plaghe musicali.

A sorpresa, dopo un rutilante passaggio in ottave [4’47”] e accordi ribattuti in fortissimo [5’02”], compare un nuovo tema dal carattere marziale (reminiscenza dell’inizio) [5’13”], ma completamente sprovvisto di quel mistero che avevamo incontrato in precedenza nonché del tipico ritmo puntato.  Nemmeno questa sezione è destinata a concludersi e così un’ansiosa variante della figura 2 A [5’36”] ci riporta al tema inquieto già precedentemente incontrato [5’56”, vedi 3’39”].

Con l’ennesimo colpo di scena Chopin, al termine del turbinoso episodio, colloca un meraviglioso, incantato episodio lirico (Lento sostenuto) [7’40”] dall’atmosfera serena e pacificata.  Si tratta del momento di massima distensione dell’intera composizione, oasi di struggente bellezza e di intima riflessione.  Significativamente anche qui ritroviamo quell’elemento di quattro note (variato ma chiaramente riconoscibile) che costituisce (vedi es.1) l’assunto di fondo dell’intera pagina e la sua più segreta sostanza musicale.

Arturo Benedetti-Michelangeli, pianoforte
 

Un accordo aspramente dissonante [9’40”] irrompe, impedendo ancora una volta che la sezione giunga a conclusione e scaraventandoci nuovamente nell’agitato turbine dell’inquietudine.
Viene da domandare se la pace, dopo tante drammatiche fratture del discorso, sia solo un miraggio momentaneo (la breve parte centrale) o se un’altra possibilità ci sia offerta.

Il seguito della composizione, che ricapitola molto del materiale musicale già sentito nella prima parte (ad eccezione dell’inizio), sembra denunciare l’inevitabile scacco di questa aspirazione. Proprio nel cuore della tempesta, improvvisa, inattesa, sboccia la ripresa, fugace eppure folgorante, del Lento sostenuto  (qui Adagio sostenuto) [12’10”].  Poche note seguite da una triplice variante di 2A pronunciata in pianissimo, quasi un soffio (sembra di sentire il “polline di suono” di reboriana memoria) [12’30”], e tutto cambia. 

È accaduto qualcosa, qualcosa di misterioso la cui natura non ci è dato ancora di conoscere che ha aperto la possibilità di leggere tutto in modo nuovo.  La brevissima coda è allora tutta colma di una nuova forza che riesce a trasformare in incipiente fremito di gioia la figura dell’inquietudine già tante volte incontrata. 

La tonalità di La bemolle maggiore non viene mai turbata, addirittura manca l’accordo di dominante (tradizionale contraltare dell’accordo principale la tonica – di una scala) e il discorso si dissolve in zone sempre più eteree e rarefatte fino a che, estremo suggello, due accordi poderosi concludono la pagina in un clima che, con Péguy, potremmo definire il “portico” della Speranza. 

L’insistenza sullo stesso materiale costruttivo (le quattro note dell’esempio 1) allora ci appare come il simbolo di una inesausta ricerca che approda infine all’accensione di una prima, timida ipotesi positiva sulla realtà.  Siamo ancora lontani da quella certezza che tutti desideriamo e sulla quale è davvero possibile edificare la propria vita ma senza la “piccola gemma” di cui parla il poeta francese tutto sarebbe sforzo e arida fatica.

Così con Chopin anche noi possiamo imparare che “un imprevisto è la sola speranza” (Montale). E non è stoltezza ripeterlo ogni giorno.

Arturo Benedetti-Michelangeli, pianoforte