A volte le circostanze concorrono a farti dimenticare, o quantomeno sottovalutare: ti chiami Jones, come dire da noi “signor Rossi” o “signor Bianchi”, ti ritrovi a essere il fratello maggiore di due fratellini musicisti come te che ti rubano la scena – Thad, superbo trombettista, compositore e direttore di big-band, ed Elvin, torrenziale batterista del quartetto di Coltrane – e infine lavori per quasi tutta la vita come (superbo) accompagnatore o musicista di studio.



Questo può forse spiegare come mai il grande pianista Hank Jones, scomparso da poco a novantun anni, fosse una figura poco nota al di fuori dell’ambiente musicale, in cui però fu sempre trattato col rispetto e la stima che meritava; basti, fra le tante dichiarazioni di stima, quella di André Previn, multiforme talento con un passato di pianista jazz, il quale definì Hank Jones il suo pianista preferito, “indipendentemente dall’idioma”.



Dobbiamo aggiungere un altro, non secondario, dettaglio: nel jazz, come in altri settori della musica popolare, è dura a morire la tendenza alla mitologia, alla ricerca dell’eroe maledetto, per cui – e non si tratta, ovviamente, di discuterne il valore musicale – un Bix Beiderbecke scomparso a ventotto anni o un Charlie Parker scomparso a trentacinque sono più “significativi” per l’ascoltatore medio di un Hank Jones o addirittura di un Eubie Blake, altro grande pianista morto a cento anni esatti.

Certo Hank Jones non fu mai in primo piano per scandali di vario genere o per associazioni con la politica o la mafia, anzi il massimo del suo coinvolgimento nel settore fu accompagnare Marylin Monroe nella ben nota occasione in cui lei cantò Happy Birthday a John Kennedy.



Senza dubbio pesò su questo l’educazione familiare del pianista, primogenito di un ministro della Chiesa Battista (il quale comunque obiettò a che il figlio suonasse jazz), tanto che il grande scrittore di jazz Gene Lees ricordava di come Jones recitasse sempre la preghiera prima dei pasti. 

 

Hank Jones è sempre stato ricordato come accompagnatore piuttosto che come solista, tanto che una perfezionista del canto jazz come Ella Fitzgerald se lo accaparrò per ben sei anni, dal 1947 al 1953; prima di questo ingaggio, Hank Jones aveva lavorato con geni quali Hot Lips Page, Andy Kirk e Coleman Hawkins, dimostrando la consonanza ideale coi maestri dell’Era dello Swing che lo accompagnò per tutta la vita, al punto che terminato l’ingaggio con la Fitzgerald il pianista passò con Benny Goodman, una collaborazione durata quasi vent’anni (un primato di durata accanto al per nulla diplomatico clarinettista!), ma trovò anche tempo di collaborare con l’arcirivale di Goodman, Artie Shaw, prima di accettare un posto, nel 1959, come musicista di studio alla rete CBS.

Di questo impiego, Hank Jones fornì una giustificazione, con la sua usuale modestia, nel 1994 a Howard Mandel che lo intervistava per Down Beat: «Per la maggior parte degli ultimi quindici anni o poco più, non suonai il tipo di musica che avrei preferito suonare. Può avermi rallentato un po’ […], ma il lavoro mi dava una base economica per cercare di costruire qualcosa».

Infatti, caso rarissimo nel mondo del jazz, Hank Jones sbocciò come solista personale e creativo solo dopo i sessant’anni, come se tutto il lavoro di sostegno ad altri gli avesse permesso di affinare nel nascondimento le strepitose doti solistiche di cui è piena la sua discografia, nella quale troviamo episodi tanto incredibili da rasentare l’impossibilità: citiamo solo "The Oracle", un’incisione Emarcy del 1989, in cui un settantenne Jones suona meravigliosamente in trio con Dave Holland al basso e Billy Higgins alla batteria, ossia due artisti appartenenti all’area del free-jazz e della avanguardia creativa! (Tanto per chiarirci le idee: quando Jones fu ingaggiato dalla Fitzgerald, Higgins aveva undici anni e Holland appena un anno di vita).

 

Hank Jones fu riconosciuto capofila della scuola "Detroit" di pianisti, che comprendeva Tommy Flanagan, Roland Hanna e Barry Harris, come lui superbi accompagnatori in grado di collaborare con artisti di ogni area, per cui ad esempio Hanna suonò con Mingus e Thad Jones, mentre Flanagan è alla tastiera nel sommo capolavoro di John Coltrane "Giant Steps".

Negli ultimi anni di vita, Hank Jones lamentava l’eccessiva spettacolarizzazione della musica, con luci, fumogeni, coreografie e quant’altro a scapito della sostanza musicale; per nostra fortuna, lui seppe andare al di là delle espressioni di sconforto per esplorare puntigliosamente un mondo musicale che lo ebbe fra i suoi creatori più discreti umanamente ma più ricchi musicalmente.