Francesco De Gregori è al telefono. Interrompe per una mezz’ora le prove in cui è impegnatissimo. Qualche colpo di tosse nella voce, segno dell’intensità con cui si sta preparando all’attesa e lunga serie di concerti insieme al vecchio amico Lucio Dalla, trentuno anni dopo la storica tournée di “Banana Republic”.
Questa nuova serie di concerti si chiama invece “Work in Progress”, ed è stata una successione di lavori in corso durata diversi mesi, qualche apparizione a sorpresa in piccoli club e uno spettacolo televisivo che li porterà agli Arcimboldi di Milano (già tutto esaurito per il primo di sette concerti, poi Roma e un tour in Italia e all’estero).
Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando si ironizzava sui “cantautori”, bravi magari a scrivere testi di canzone che sembravano poesie, ma considerati musicisti di serie B. Dalla e De Gregori sono la dimostrazione invece che quel mondo di cantautori portava in grembo alcuni dei migliori musicisti italiani di sempre. Magari non tutti, i cantautori, ma quello che Francesco e Lucio stanno per portare sui palchi è senz’altro grandissima musica. Totale.
È un po’ una rivincita, questa, del mondo antico dei cantautori, spesso presi in giro perché poco “musicisti”. Voi state dimostrando esattamente il contrario.
In realtà il cantautore sono io. Lucio è sempre stato un signor musicista, sin da giovanissimo quando suonava il clarino in gruppi jazz. Ha suonato anche con Chet Baker, figurati. Ha partecipato ai Cantagiro… Dalla ha fatto di tutto ed è sopravissuto a tutto. Io invece ero senz’altro inseribile in quella che era l’iconografia del cantautore tipico. Poi col tempo le cose sono cambiate, quello che stiamo facendo è uno spettacolo dove c’è innegabilmente una grandissima forza testuale, lirica, ma c’è anche una grandissima forza musicale.
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Per far ciò, avete fatto un esperimento interessante. Avete unito le vostre rispettive band, prendendo alcuni musicisti dell’una e dell’altra.. Come vi siete accordati?
A dire la verità ci siamo detti mezza parola. Allora io ho ragionato non in termini di qualità perché i musicisti che ho lasciato fuori sono bravissimi, ma in termini di funzionalità. Ho scelto chi suona la pedal steel, il bassista, il fido Guglielminetti, e il tastierista. Dalla ha detto, benissimo allora io porto gli altri. Una discussione di trenta secondi. Se le cose non fossero andate bene avremmo dovuto ritoccare la composizione della band e invece sono andate benissimo sin dall’inizio. Tenendo conto che abbiamo fatto delle prove stranissime, tipo sette gironi poi fermi un mese e mezzo poi altri cinque giorni… Prove diluite insomma e scaglionate nel tempo. Facemmo le prime nell’ottobre dell’anno scorso per verificare con largo anticipo che questo innesto di band funzionasse e così è stato.
Abbiamo potuto osservarvi in anteprima lo scorso mese di marzo in un bellissimo concerto trasmesso televisivamente. Quello che colpiva era vedere nei vostri volti lo stupore per canzoni cantante magari centinaia di volte e che sembra voi stiate riscoprendo con passione per la prima volta. È così?
Lo spettacolo televisivo, quello insomma fa testo fino a un certo punto perché la televisione dà sempre un altro tono alle cose e alle persone. Però è vero, sta continuando a essere una esperienza di stupore, un’esperienza in cui sta crescendo una consapevolezza e uno stupore visto che abbiamo continuato a fare modifiche in corso.
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Work in progress…
Esatto. Abbiamo inserito nuove canzoni nel repertorio, abbiamo modificato qualche arrangiamento e abbiamo addirittura inserito un quartetto d’archi che debutterà proprio agli Arcimboldi. È una grande gioia fare quello che stiamo facendo. Dalla dice speso, sono felice perché finalmente posso cantare canzoni di un altro artista cosa che non ho mai fatto prima.
E anche per me è lo stesso, anche se in passato ho fatto alcune cover di altri cantanti. Non voglio dire che mi annoio a fare le mie canzoni, ma entrare nella musica di un altro artista è una bellissima esperienza, è una cosa difficile, i pezzi di Dalla sono molto difficili, ma è molto gratificante.
Puoi regalarci un’anticipazione rispetto alle novità che ascolteremo a Milano?
Te ne dico una. Farò la canzone Due zingari che non faccio da trent’anni in concerto…
Qual è la canzone di Dalla che più ti piace cantare?
Mah… direi tutte. All’inizio era Come è profondo il mare, che mi era sempre piaciuta da ascoltatore.
Altre mi sembrava impossibile poterle cantare, dicevo, questa la faccio solo per far piacere a Dalla, invece poi mi sono divertito moltissimo.
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Però, come dice il pezzo nuovo che avete fatto insieme e di cui hai scritto tu il testo, “non basta neanche una canzone”… Insomma, la vita è più grande anche di una canzone…
Volevo semplicemente dire che una canzone può essere consolatoria, ma poi neanche tanto. Volevo parlare dei limiti che ci sono in qualunque forma artistica. La vita è più complessa, l’arte per quanto sublime non arriva a toccare i vertici di ambiguità e di bellezza che sono propri della vita stessa.
Chi ha avuto l’idea di cominciare i concerti con la ripresa di Over the Raibow, il famoso pezzo tratto dal film Il mago di Oz?
Lucio. Non sapevamo proprio come cominciare i concerti. Le abbiamo pensate tutte, anche la canzone Ma dove vanno i marinai, poi un giorno mi ha telefonato e mi ha detto, facciamo un pezzo strumentale, Over the Rainbow. All’inizio ero perplesso, poi mi sono comprato un’armonica nella tonalità giusta e siamo riusciti. Adesso la faremo accompagnati dal quartetto d’archi.
Vi aspettavate una risposta di pubblico così straordinaria?
Ci speravamo.
Ci sarà un disco dal vivo o magari un dvd a fine tour?
Abbiamo le idee molto confuse. Oggi la discografia è uno sparo nel buio, i dischi hanno la vita e il peso ridotto. Sicuramente faremo qualcosa, non possiamo certo non registrare quello che faremo, ma adesso ci dà fastidio parlarne. Adesso pensiamo solo al pubblico, all’incontro con loro e alla gratificazione nobile che ci dà questa cosa, che è quella che ci piace di più. Suonare.