Tra le lettere di Pavel Florenskij raccolte nel libro Non dimenticatemi, pubblicato di recente da Mondatori e citato da Benedetto XVI al Regina caeli dell’Ascensione, una è indirizzata alla celebre pianista Maria Judina, amica di famiglia del grande matematico. Con lei Florenskij parla di musica:

«Poco fa alla radio ho ascoltato un brano di un concerto di Mozart
(clicca qui). E ogni volta, con stupore, riconosco di nuovo questa chiarezza, il paradiso d’oro, perduto dall’umanità. Il mondo impazzisce e infuria alla ricerca di un qualcosa, mentre ha già in mano l’unica cosa che serve: la chiarezza. La cultura borghese si sta disgregando perché in essa non c’è un’affermazione chiara, un netto sì al mondo. Essa è tutta nel come se, come se fosse, l’illusionismo è il suo vizio principale. Solo nell’autocoscienza infantile ciò non esiste, e così è Mozart».



Poco oltre, in una lettera alla figlia maggiore, si trova un giudizio su un altro grande:

«In Bach sento sempre un artigiano. Non prendere questa mia parola come un’offesa. Ho grande stima e ammirazione degli artigiani, soprattutto di quelli di un tempo. Ma si tratta di una costituzione di spirito del tutto particolare: abitudini ed esperienza ricevute in eredità e formate nel corso dei secoli, maestria senza foga e senza ispirazione. Probabilmente si tratta del tipo più sano di processo creativo, che scorre sempre entro margini ben precisi, senza lacrime e senza estasi, con una tranquilla sicurezza nella propria mano, che sa già da sé che cosa deve fare. È geniale, ma senza la minima trepidazione. È l’esatto opposto di Beethoven».



In una delle ultime lettere, inviata ancora alla figlia, scrive:

«Quando cerco una risposta definitiva circa la questione del valore di un’opera, mi chiedo che cosa succederebbe se quest’opera non esistesse. Senza di essa il mondo perderebbe qualcosa? Si spegnerebbe uno dei raggi della vita? (leggi qui) Ecco. Se non ci fossero stati Mozart, Bach, Beethoven, persino Schubert, Glinka, il mondo sarebbe più scuro. Ciajkovskij è senza spina dorsale; nella sua musica non c’è ontologia, ed egli fugge coscientemente dall’ontologia, nascondendola con la sua malinconia. Queste ombre illusorie sono senz’altro belle, ma non posso definirle stupende, in quanto ciò che è stupendo, oltre che bello, è anche vero».

L’impressione è che tali giudizi e altri disseminati nell’epistolario non siano estemporanei, ma frutto di una conoscenza profonda, lungamente meditati e soprattutto derivati dalla visione del mondo e dunque anche dell’estetica che Florenskij aveva elaborato in anni di ricerca scientifica e teologica.

Nelle lettere le sue annotazioni filosofiche, letterarie ed artistiche sono contigue alla preoccupazione per la salute della moglie e per l’educazione dei figli; vi si rivela un animo non solo colmo di saggezza, ma anche di affetto tenero e concreto, pronto a rispondere a ogni domanda gli venga posta, a sollecitare notizie. Un uomo che nella solitudine innevata del lager studiava le alghe e mandava alla sua famiglia le prime felci spuntate a giugno.