“We don’t play guitars”: una delle componenti la band tedesca delle Chicks on Speed sta terminando la gigantesca scritta a spray che campeggia su una delle pareti. È di un verde fosforescente e ben sintetizza, forse più di tante parole, il messaggio contenuto in “It’s Not Only Rock’n’Roll Baby!”, la mostra di dipinti e fotografie a cura di diversi artisti rock che si inaugura domani, 24 giugno, alla Triennale Bovisa di Milano.
Non ci sono chitarre qua dentro, ma c’è lo stesso senso di mistero e di indagine al cuore dell’espressione umana che si trova in tante canzoni rock. Come ha detto un celebre scrittore americano, “non hai bisogno di una chitarra per essere un eroe del rock”. Questa mostra testimonia infatti in modo efficace come la forma di espressione rock, a oltre cinquant’anni da quando questa musica è nata, ha ormai travalicato il limite stesso del disco e della canzone.
Attenzione: non stiamo parlando di certi slogan faciloni e di certo “lifestyle” applicato alle mode usa e getta. Stiamo parlando di un linguaggio e di una espressività che ormai si sono insinuati in mille rivoli diversi nelle vene della società contemporanea e che raccontano, talvolta meglio di altre forme di espressione artistica moderne, l’ansia, la ricerca e la domanda forte che è presente nell’uomo del terzo Millennio.
La mostra, che resterà aperta fino al 26 settembre, è a cura di Jerome Sans, eclettico critico d’arte francese, ma anche musicista rock, fondatore ed ex direttore del Palais de Tokyo si Parigi, oggi direttore del Centro Ullens per l’Arte Contemporanea di Pechino. Insieme alla cantante Audrey Mascina è anche parte di un gruppo rock, i Liquid Architecture. Jerome Sans, viso che ricorda un giovane David Lynch, look da perfetto esponente new wave anni Ottanta (jeans strettissimi, scarpe a punta, giacca e cravatta nere) si aggira nervosamente dando gli ultimi tocchi alla mostra. Nervoso, ma è evidente la passione che lo muove. Non è facile mettere insieme dipinti, fotografie, sculture e audiovisivi di artisti come la sacerdotessa del rock Patti Smith, l’irriverente Pete Doherty dei Libertines, il geniale esponente della new wave newyorchese Alan Vega, l’icona gay Antony, la spumeggiante Bianca Casady delle CocoRosie,il santone del neo folk Devendra Banhart.
E poi ancora i Kills, esponenti di primo piano del nuovo pop-rock inglese, il duo electropop americano dei Fischerspooner, Kyle Field e altri ancora. Tra di loro, anche un artista/musicista italiano, Andy, noto anche come tastierista dei Bluvertigo, scelto personalmente da Jerome. Non si tratta di famose rock star che dopo tanti anni di carriera musicale hanno deciso di svagarsi con altri interessi come la pittura (è recente il caso di Bob Dylan, ma anche di Paul McCartney, che hanno inaugurato celebrate mostre dei loro dipinti). Si tratta invece di autentici artisti visuali, che hanno cominciato, ancora prima di fare dischi, con l’occuparsi di pittura e fotografia.
Una prima edizione di questa mostra si era tenuta due anni fa al Bozar di Bruxelles. Jerome Sans si aggira tra le opere d’arte, ma si concede, gentilissimo, alle richieste di interviste. Seduti su una panchina, tra la sezione dedicata a Pete Doherty e quella dei Kills (un enorme pannello composto da centinaia di polaroid scattate in tournée in tutto il mondo, e che rappresenta una specie di occhio aperto sulla vita spesso folle di una rock band on the road, ma altresì una visione di intimo realismo), parliamo con lui di “It’s Not Only Rock’n’Roll Baby!”.
In che cosa differisce questa edizione milanese di “It’s Not Only Rock’n’Roll Baby!” da quella presentata due anni fa a Bruxelles?
È una cosa totalmente diversa. Innanzi tutto l’edizione di Bruxelles presentava un maggior numero di artisti. E poi gli artisti che sono presenti qui a Milano, hanno voluto appositamente proporre materiale diverso rispetto a quello mostrato a Bruxelles. Questa mostra, questo progetto, si presenta ogni volta con un passo e una prospettiva diverse. È come seguire un gruppo rock in tournée: non vedrai mai due volte lo stesso concerto. Sarebbe impossibile, ogni volta è una esperienza nuova e diversa. Lo spirito di questa mostra è uguale: ogni volta è un passo avanti e differente dal precedente.
Un po’ come la vita, che non è mai uguale a se stessa: lei una volta ha detto di credere che l’arte sia vita, e che la vita sia arte.
Assolutamente. L’arte è espressione della vita, della realtà. Arte e vita non possono essere separate. Ne abbiamo degli esempi in questa mostra. Le foto dei Kills: sono fotografie fatte in tournée che raccontano la loro vita quotidiana, i loro amici, le persone intraviste per strada. Oppure le fotografie di Patti Smith: i piccoli oggetti della sua vita quotidiana, le cose che lei vede quando esce di casa.
In che modo una mostra come questa può cambiare la percezione che abbiamo della musica, dell’ascolto della musica?
Una mostra come questa deve cambiare la prospettiva con cui ascoltiamo musica. Questi sono artisti visuali, prima che musicisti. Sono rimasti attratti dalla musica, ma l’arte visuale permette loro una libertà ancora maggiore di quella che offre la musica. E alla fine le due cose si compenetrano a vicenda. In questa mostra si cerca di raccontare tutto ciò: ecco perché quei televisori lì per terra che mostrano filmati dei Velvet Underground, un gruppo rock visuale, i primi a fare questo.
Sempre più musicisti rock trovano il coraggio di rendere pubblici aspetti espressivi che magari hanno tenuto nascosti per decenni. È il caso di Bob Dylan che ha recentemente esordito con mostre d’arte molto apprezzate.
Sì, c’è un grande cambiamento in atto. Sempre più i musicisti scoprono di voler attraversare i ponti che li tenevano rinchiusi in forme codificate di espressione. È una cosa positiva. Anche una mostra come questa dieci o vent’anni fa sarebbe stata impensabile. Nessuno avrebbe voluto vedere le fotografie di Patti Smith: sarebbero venuti qui per sentirla cantare, non per vedere le sue foto.
Lasciamo Jerome ad altre interviste. La mostra comincia con una serie di grandi fotografie di Antony, lo straordinario cantante gay leader della band Antony and the Johnsons, una delle più apprezzate formazioni musicali, che recentemente si sono esibiti anche agli Arcimboldi di Milano. Le grandi fotografie riprendono primi piani, tra cui anche uno dello stesso Antony, ritoccati con colpi di pittura e di colore. Immagini dolorose e drammatiche, che riflettono una certa iconografia tipica del mondo omosessuale. In uno spazio tutto riservato a lui, i sorprendenti dipinti di Pete Doherty, cantante inglese spesso associato a brutte storie di droga insieme alla sua fidanzata, la modella Kate Moss. Sono dipinti interessanti, su cui l’artista a volte applica piccole fotografie o elementi esterni. Colpisce il forte senso di dolore fisico che queste opere emanano.
Un murales enorme contiene le centinaia di foto scattate dai membri dei Kills, una esplosione di vitalità e di realismo spicciolo. Più avanti una lunga serie di piccoli ritratti, alcuni fatti a matita, volti coperti da righe, schizzi nervosi e affaticati, frutto della mano di Alan Vega, il leader del gruppo punk newyorchese Suicide, uno dei più coraggiosi ensemble musicali nati a fine anni Settanta. Sono volti che ritraggono una umanità dolente, affaticata. E se i divertenti disegni di Devendra Banhart ritraggono il mondo un po’ incantato e magico delle sue canzoni che pescano nella gloriosa tradizione folk anglosassone, tra misticismo e visioni incantate, l’ultima saletta è dedicata a Patti Smith. Si entra con un po’ di pudore, quasi si entrasse davvero in casa dell’artista. Su tre pareti una lunga serie di piccole fotografie virate seppia, che sembra arrivino da qualche polverosa cantina dove sono state tenute rinchiuse per un centinaio di anni.
È la vita quotidiana della grande musicista (che tra l’altro si esibirà alla Triennale Bovisa il 12 settembre). Cimiteri, la tomba di Walt Whtiman, una mano che delicatamente stringe un fiore. Dei bambini, i suoi figli probabilmente, una macchina da scrivere. E poi delicate lenzuola ricamate che mostrano una grande croce. E ancora: campi bagnati, fangosi, il senso di un cammino, quello della vita, duro ma sempre illuminato da una profonda speranza. Proprio come le canzoni di Patti Smith. Da questa sala crepuscolare si passa a una molto più grande, illuminata da forti luci colorate al neon. Una serie di grandi ritratti di musicisti rock, da Jim Morrison a Robert Smith dei Cure, e anche icone della moda come Kate Moss, dipinti con tinte fluorescenti a cui le luci al neon donano un aspetto particolare, decisamente pop art alla Andy Warhol. Sono i quadri di Andy, cofondatore dei Bluvertigo, dj e soprattutto artista visuale.
Ogni edizione di “It’s Not Only Rock’n’Roll Baby!” dà spazio a un artista del paese in cui è ospitata. Andy rappresenta l’Italia: “Un grandissimo onore ovviamente” ci dice, nei pressi di una splendida Vespa dipinta anch’essa con lo stesso stile fluorescente dei suoi dipinti. “È la mia vecchia Vespa” sorride. “Un grande onore essere stato scelto da un critico d’arte come Jerome Sans e un onore essere ospitato in mezzo a questi artisti. In Italia purtroppo esiste ancora questa separazione, questo pregiudizio, fra i vari campi espressivi: o sei un musicista o sei un pittore”.
Gli chiediamo quale fra quelli presenti è quello di cui ha maggiormente apprezzato le opere. Non ha dubbi, indicando con la mano la stanzetta precedente la sua. “Patti Smith. Hai viso le sue foto? Straordinarie, roba che ti prende al cuore”. Andy nasce come artista visuale sin dai tempi che frequentava l’accademia di belle arti di Milano: “Ricerco l’analogia tra le due forme d’espressione che sono la musica e il dipingere. Quando dipingo applico lo stesso meccanismo creativo di quando compongo musica. Dipingere un quadro è come arrangiare una canzone, si tratta di mettere insieme elementi diversi e dare una unità, una compiutezza al lavoro che stai facendo”. Per l’occasione Andy presenta solo icone musicali: “Sì una scelta vista l’ambientazione, un omaggio. Altrimenti dipingo soggetti che si trovano nell’hard disk della mia memoria: cartoni animati, opere d’arte che mi hanno colpito in modo particolare. Faccio dei frullati di immagini”.
La mostra avrà attorno diverse interessanti iniziative collaterali. Oltre ai concerti, tra cui quello citato di Patti Smith del 12 settembre, anche una rassegna di film che si tengono tutti i martedì alle ore 22.00, dal titolo “Rock’n’Roll Life” e che prende avvio con il film “Happiness Runs” di Adam Sherman, una anteprima europea la sera del 29 giugno. E poi pellicole con Johnny Depp (“Johnny Suede”), David Lynch (“Velluto blu”) e altre ancora.
Una foto di Patti Smith
Un dipinto di Antony
Un autoritratto di Pete Doherty
Uno dei dipinti fluorescenti di Andy