Il mio primo incontro con l’arte di Cesare Siepi è avvenuto molti anni fa quando ho avuto per la prima volta l’occasione di vedere il “Don Giovanni” di Mozart diretto dal grande Furtwängler con il celebre basso nel ruolo principale. In particolare la grande scena “del Commendatore” (una delle più impressionanti pagine dell’intera storia della musica) al di là della regia apparentemente un po’ ingenua (ma quanto superiore alle moderne “regie concettuali”! e dell’evidente esibizione in playback (la tecnica degli anni Cinquanta permetteva solo operazioni di questo tipo, peraltro assolutamente all’avanguardia per l’epoca) mi colpì per l’intensità realmente tragica di cui Siepi si dimostrava capace.
La penetrazione psicologica del personaggio di Don Giovanni (in perfetta consonanza con la scultorea lettura furtwängleriana) è qui pressoché perfetta. Figlio di un’epoca in cui il bene e il male avevano ancora volti precisi e distinzioni nette, Siepi dona all’antieroe mozartiano una profondità di sentimenti davvero non comune.
La tensione metafisica della scena è assunta come chiave interpretativa globale ed i vari cambi di atteggiamento del protagonista hanno per Siepi una sorta di fil rouge che li lega: l’uomo di fronte al compiersi del suo destino temporale ed eterno.
La spavalda baldanza, il timore, la ribellione, il terrore, tutto nell’interpretazione del grande basso è segnato dalla consapevolezza di essere all’“ultimo momento” e che il dramma della scelta tra bene e male, tra accettazione della propria condizione di peccatore bisognoso di misericordia e affermazione orgogliosa della propria visione contro ogni evidenza è la vera sostanza dell’azione che si svolge davanti ai nostri occhi.
Particolarmente impressionante è la progressiva perdita di forze durante la “battaglia” per la salvezza dell’anima di Don Giovanni (il celebre “Pentiti” del Commendatore al quale il libertino risponde con secchi “No!”). La cosa sorprendente in tutto questo è e resta soprattutto l’uso magistrale che della voce fa l’artista milanese: anche nei momenti di maggiore pathos il controllo è assoluto e la qualità dello strumento (dotato di un timbro davvero unico) sempre perfetta.
Un altro ruolo che Siepi seppe interpretare con rarissima maestria è quello di Filippo II nel verdiano “Don Carlos”.
Qui la tragedia è di natura completamente diversa rispetto al dramma di Mozart-Da Ponte.
Filippo è un uomo potente, un Re, ma è anche un essere fragile e tormentato che, nella celebre “Ella giammai m’amò” che apre il Terzo atto della versione italiana dell’opera, ci mostra la natura precaria di ogni potere mondano e la sua subordinazione a desideri ben più grandi e non soggetti all’umano arbitrio. L’amore, la felicità, il senso stesso del suo operare gli sfuggono completamente tanto che il Re, sulla scia del manzoniano Innominato, non riesce più a dormire.
Siepi dà al personaggio un tono di umanissima malinconia e di struggente rimpianto sempre mantenendosi (con perfetto gioco di equilibri) all’interno della nobiltà intrinseca del Carattere.
Il legato è qui perfetto e la tenuta vocale (in una scena davvero proibitiva per l’interprete) impeccabile. Ancora una volta non si può che restare affascinati dal meraviglioso timbro della voce di Siepi che, grazie anche a una tecnica raffinatissima, riesce a caratterizzare icasticamente ogni sfumatura del testo verdiano con asciutta compostezza e senza indulgere in quei facili (e volgari) effetti che purtroppo infestavano (e infestano) i nostri teatri lirici.
Verdi – Don Carlos – Atto III, scena I “Ella giammai m’amò”
Anche per questo ci sentiamo di ringraziare il Maestro Siepi la cui arte è stata sempre una grande lezione di stile, serietà e dedizione alla musica. Merce rara, oggidì.