Il Meeting di Rimini di quest’anno dedicherà un’attenzione particolare alla figura di Maria Judina, pianista russa di origine ebrea, convertitasi poi al cristianesimo ortodosso. Questa dissidente indomabile del regime stalinista, nata nel 1899 e scomparsa nel 1970, è oggi praticamente dimenticata in Occidente. A lei verrà dedicata una mostra e uno spettacolo teatrale che coinvolgerà anche alcuni musicisti russi, suoi allievi. «Mi fa molto piacere che si torni a parlare di lei e che lo si faccia al Meeting – confida Ramin Bahrami a IlSussidiario.net -. Conservo un ricordo bellissimo di quell’evento. Mi invitarono nel 2005 – prosegue – per approfondire una delle pagine più affascinanti di Johann Sebastian Bach: le Variazioni Goldberg».
Bahrami, classe 1976, è oggi uno dei pianisti più importanti della sua generazione e proprio il grande compositore tedesco rappresenta il centro imprescindibile del suo repertorio. La sua storia, legata a doppio filo alle vicende drammatiche dell’Iran, merita di essere ricordata. L’avvento del regime degli Ayatollah sconvolge la sua infanzia e precede la cattura e la morte del padre. Ramin deve così cercare rifugio in Italia, dove completerà gli studi al Conservatorio di Milano, sotto la guida del M° Piero Rattalino e inizierà poi una brillante carriera da concertista.
«A Rimini ricordo la sala stracolma di gente – continua Bahrami -, ma un incredibile silenzio. Si avvertiva un grande desiderio di ascoltare, di gustare la bellezza di quelle pagine misteriose. È il posto giusto per far riemergere questa figura imponente, finita ingiustamente nel dimenticatoio. Non lo dico tanto per lo sviluppo pianistico, perché quello non interessa più a nessuno, parlo proprio di sviluppo culturale in senso ampio».
In molte sue interviste lei sembra quasi attribuire alla musica un potere salvifico davanti ai mali del mondo…
Diciamo che la musica è stata la mia unica salvezza terrena contro l’ansia e gli orrori della guerra tra Iran e Iraq. Sono convinto che sia una delle poche forme di libertà, un’arma di difesa del pensiero che i popoli, liberi o non liberi, conservano sempre. In Iran, ad esempio, ce n’è un infinito bisogno, anche se la guerra è finita da più di vent’anni.
Cosa intende dire?
Le bombe non cadono più, ma è in atto un attacco costante, silenzioso ma altrettanto cruento, alla libertà e ai sentimenti delle persone. Se per colpa di un dittatore perdiamo un braccio, o una gamba, avvertiamo sicuramente più dolore, se viene attaccata la nostra libertà forse fa meno male, ma è altrettanto grave.
Maria Judina è, a questo proposito, un esempio incredibile, come donna e come musicista.
Per quale motivo?
Con la musica le riuscì il miracolo di commuovere Stalin, uno degli assassini più brutali della storia. È il fatto più conosciuto della sua biografia, anche se qualcuno pensa che sia una leggenda.
La sua vita, al di là di questo fatto, ci ha insegnato la libertà dal potere. Ai dittatori di turno, invece, può ricordare che anche il loro tempo è limitato, che la grande musica sopravviverà a loro, e a noi. C’è poi un altro episodio della sua esistenza su cui continuo a meditare.
Quale?
Arriva fino a noi grazie al racconto del grande musicista Sviatoslav Richter. Quando la sentiva suonare Bach le chiedeva spesso: «Maria, perché suoni i temi delle fughe così forte e in modo così minaccioso?». E lei: «Perché siamo in guerra». In questa frase c’è tutto il suo carattere. Io posso definirmi un “figlio di guerra” e proprio alla musica di Bach sto dedicando gli anni della mia vita, ecco perché questa frase continua a scavare come un tarlo nella mia mente.
E cosa le insegna?
Posso dire che sentendola suonare Bach assisto al felicissimo incontro tra la sobrietà della scrittura di un gigante della composizione e una personalità artistica e umana fuori dal comune, capace con la musica e con la sua fede, di farsi scudo e vincere le violenze del mondo.
L’interpretazione della Judina nella musica di Bach in cosa si caratterizza?
Il grande compositore Dmitri Shostakovic, che era suo compagno di studi, racconta che il loro comune maestro Nikolaiev lo esortava: «Va’ a sentire come suona Marusja! In una fuga a quattro voci, ogni voce, quando suona lei, acquista un timbro particolare». Forse costava anche a lui ammetterlo, ma è indubbiamente una delle sue qualità strabilianti. Non solo, nei suoi dischi sono sempre presenti delle “scelte d’artista”.
Cosa intende dire?
Parlo di quella originalità che hanno i più grandi. Il suo lato sperimentale che ci regala delle prospettive nuove di pagine eseguite infinite volte. Sentendola suonare si sente poi una forte spiritualità (il simbolismo teologico di Bach trova in lei una compagna, carica di simbolismo russo), una forza a volte quasi mascolina, come diceva lo stesso Shostakovic, accompagnata da un grande rigore intellettuale. Sono rimasto affascinato dalla sua lettura delle Variazioni Goldberg di Bach, che dopo molti anni ho inciso anch’io.
Che spunti le ha offerto?
Nella sua esecuzione del capolavoro bachiano si avverte un senso dell’architettura molto chiaro. Un approccio direi orientale nell’affrontare questa successione di mosaici. La Judina sembra a caccia di un tesoro e così imbocca delle strade personali, sulla scelta dei tempi e delle sonorità, che io ad esempio non ho potuto condividere.
La sua “eccentricità” può essere paragonata, in qualche modo, a quella di Glenn Gould?
Sono due eccentricità diverse. In Maria Judina si avverte una componente nazionale molto forte un senso tipicamente russo, nel caso di Gould l’eccentricità è, direi, “astrale”. Malgrado le diversità abissali c’è un punto di contatto: una grande individualità, una certa, mi passi il termine, “prepotenza intellettuale”.
Ci spieghi meglio.
Le faccio un esempio, senza questa prepotenza Gould non avrebbe potuto deformare i tempi di esecuzione di alcune Sonate di Beethoven. Alcuni adagi li suona sette volte più lenti. Ci rivela però così mille dettagli sconosciuti, ci offre una lente d’ingrandimento che altrimenti non avremmo mai avuto. Ecco perché Stravinskij disse: “Finalmente un genio ci ha rivelato il significato completo delle partiture beethoveniane”. La lezione di Maria Judina è altrettanto importante. Le scelte più rivoluzionarie che compie proprio in Bach, riguardano a mio parere soprattutto il fraseggio. È un approccio quasi “anti-pianistico”.
Cosa intende dire?
Il pianoforte è senz’altro una delle maggiori invenzioni timbriche dell’uomo. Se viene però usato come una bestia dai denti bianchi e neri può essere addirittura pericoloso. Chi lo suona può dimenticarsi lo scopo primario: far passare un messaggio trascendente senza abbandonarsi all’esibizionismo e all’acrobazia.
Se c’è una qualità innegabile che sia Gould che la Judina hanno è proprio questa: nonostante le idee prepotenti, nonostante lo stile apparentemente provocatorio, nelle loro esecuzioni non si udirà mai una sola nota che sia volgare e che non sia coerente alle altre.
Da ultimo, a quale esecuzione della pianista russa è più legato?
Le confesso che non è una pagina bachiana, ma la trascrizione di Saltikov del Lacrimosa, tratto dal Requiem di Mozart. Qui Maria ci mostra un altro volto, solenne ed equilibrato.
Come si può intuire questa grande pianista ci ha lasciato un patrimonio, un’eredità interpretativa che dobbiamo assolutamente salvaguardare. Senza passato non c’è futuro, si usa dire. Bisognerà rimediare agli errori dell’Unione Sovietica.
(Carlo Melato)