“Le canzoni napoletane raccontano amori così grandi che questi amori non possono mai morire”. Quella che è la migliore definizione del canto popolare partenopeo non viene da un abitante del golfo del Vesuvio, ma da un prete brianzolo. Don Luigi Giussani, per l’esattezza, così come racconta Alfredo Micucci durante una conversazione telefonica.
Due anni dopo il disco che l’ha fatto conoscere in giro per l’Italia e non più solamente nella natìa Napoli, “Jamm’ a vede’”, e un anno dopo aver concluso la trentesima edizione del Meeting di Rimini davanti a 7mila spettatori, Micucci ha pronto un nuovo disco (“Senza tiempo”) e sta per tornare proprio al Meeting. Dove venerdì 27 alle 11 presenterà proprio il suo nuovo cd.
La frase di don Giussani significa molto per Alfredo, in un certo senso è legata al significato del titolo del disco (che è anche una canzone omonima) che il cantautore napoletano ha scelto, “Senza tiempo”, senza tempo: “Le storie che ci sono in questo disco” spiega “di fatto sono una unica storia. E quando una storia è vera, questa non finisce mai. Le canzoni di questo disco sono diverse ma tutte raccontano storie senza tempo: storie che magari possono anche finire nella contraddizione, però alla fine se una cosa è vera, questa non finisce mai. Che sia un’amicizia, che sia un amore”.
Le canzoni del nuovo disco sono tutti brani nuovi o hai tirato fuori dal cassetto qualche composizione che avevi già pronta da tempo?
Sono dieci brani miei e due cover. Dei miei dieci pezzi, otto sono nati in questo ultimo anno, due erano già stati composti in precedenza, per l’esattezza per la mostra dedicata al Rione Sanità presentata l’anno scorso al Meeting. Le avevo preservate poi qualcuno mi ha fatto notare che valeva la pena non rimanessero nel cassetto, che intorno ad esse potevo costruirci un intero disco di canzoni nuove. E allora mi sono messo a lavorare.
Che differenza c’è fra questo nuovo cd e il precedente, "Jamm’ a vede’”?
Il nuovo cd vuole continuare il percorso del precedente e anche quello della mostra dedicata al Rione Sanità. Sono storie, quelle delle nuove canzoni, mie ma anche di altre persone, e sono nate dalle cose che io e i miei amici abbiamo vissuto nell’ultimo anno. Non essendo io legato ad alcuna casa discografica, non devo scrivere canzoni per obblighi contrattuali…
Si può dire che le tue canzoni nascono da un’esigenza, più che da un dovere…
Esattamente. Le mie canzoni sono un modo di raccontare cose vissute insieme ad altre persone e che riguardano altre persone. Sono storie ch condivido con i miei amici del Rione sanità ma che chiunque, ascoltandole vi potrà trovare qualcosa di suo. Ad esempio il brano odore di caffè… Odore di caffè racconta della vita nel Rione Sanità, dove la gente va continuamente avanti e indietro senza sapere dove andare, “appresso ai guai” come si dice qui.
La vita diventa come una giostra, sai quelle giostre di una volta dove chi riusciva a strappare il fiocco vinceva un altro giro. Qua anche senza prendere il fiocco si vince sempre. Mi vengono in mente queste persone che non hanno una meta e vagano avanti e indietro, gente che si spende nel gratta e vinci o nelle scommesse delle partite, per avere una speranza di migliorare, anche se non è così che succederà. Però hanno sempre questo grande senso di speranza. Il tutto sempre condito dall’onnipresente odore di caffè che sente nei vicoli del Rione.
C’è poi un brano molto toccante, Marì, esplicitamente dedicato a Maria, la Madonna.
Marì è la canzone che maggiormente condivido con i miei amici. Marì segna un passaggio di fede importante nella mia vita, racconta di una consapevolezza nuova che ho acquisito da poco, la consapevolezza che sto imparando ad avere grazie ai miei amici. Racconta il desiderio di affidarsi a qualcuno in tutti i momenti della vita, quando devi fare una cosa e magari quella cosa non va nel verso che tu volevi, ma tu ti affidi comunque. I miei amici mi hanno aiutato a fare questo passo.
Musicalmente invece come è diverso questo nuovo disco dal precedente?
E’ stato registrato praticamente con gli stessi musicisti e anche lo stesso arrangiatore del precedente. Io però ho seguito maggiormente il percorso lavorativo, grazie anche all’aiuto di Walter Gatti, un giornalista con cui è nata una grande amicizia. Lui è venuto appositamente a Napoli quando il disco era praticamente finito, lo ha ascoltato e mi ha dato dei consigli importanti, mi ha detto delle cose che musicalmente sono state determinanti.
C’è poi un brano di Nino D’Angelo…
Sì, è un brano che mi ha commosso sin dalla prima volta che l’ho ascoltato. E’ una canzone che avrei voluto scrivere io, ma perché provarci quando qualcuno lo ha fatto prima e meglio di quanto potresti fare tu? E’ una canzone dedicata al padre, e dopo tutte le canzoni dedicate alla mamma, ci voleva qualcuno che ne scrivesse una… Scherzi a parte, racconta la figura di quel padre, un po’ come lo era il mio, silenzioso, che sembra assente invece è sempre presente. Quel padre che conosce tutti i guai”, non ti dice le cose ma te le dimostra, che a scuola non veniva mai a prenderti però c’era sempre. Ecco, un padre così come lo abbiamo avuti in tanti, che raccoglieva tutte le foto di famiglia nell’album dei ricordi, mentre oggi noi mettiamo le foto dei nostri figli nel cellulare…
Nino D’Angelo: per noi del nord Italia rispecchia un po’ uno stereotipo della canzone napoletana…
Il Nino D’Angelo col caschetto ha avuto una sua storia e un suo pubblico che io non giudico. Io apprezzo il Nino D’Angelo degli ultimi anni, quello della svolta etnica, quello che ha avuto il coraggio di andare a Sanremo a cantare una canzone in dialetto napoletano. Come cantautore napoletano, oggi non esiste nessuno meglio di lui. Avevo già inciso un suo brano in un disco di alcuni anni fa, lui l’aveva ascoltato e mi aveva fatto sapere di averlo apprezzato. Poi mi ha invitato a suonare un paio di volte al teatro di cui è direttore artistico, mi disse che gli piaceva quello che facevo.
A questo punto della tua carriera, senti che un giorno potresti incidere un disco di canzoni tradizionali napoletane?
Io ero molto prevenuto. Quando ho cominciato a fare dischi dicevo, che senso ha cantare le vecchie canzoni napoletane? Oggi Napoli è cambiata, bisogna fare canzoni napoletane moderne. Invece adesso sto cambiando idea, e grazie a quelle parole di don Giussani che citavo prima. Lui mi ha fatto capire la grandezza della grande tradizione napoletana e credo che sì, adesso potrei incidere o almeno cantare dal vivo qualche canzone napoletana tradizionale.
In questi giorni di inizio Meeting si ricorda la scomparsa di Claudio Chieffo. Tu come lo ricordi?
Non ho mai potuto ascoltarlo quando era in vita. Dopo la sua morte mi hanno regalato alcuni suoi dischi e sono rimasto a bocca aperta, ho capito perché tutti quelli che parlano di lui ne parlano bene. Ci sono sue canzoni, penso ad esempio a Errore di prospettiva, che mi fanno rimanere lì a domandarmi: ma questo come faceva a scrivere canzoni così belle? E poi le sue canzoni descrivono la storia di un popolo: ecco perché era un grande cantautore, perché cantava la vita di un popolo.