Nella seconda parte del 1791, già toccato dalla malattia che lo porterà alla morte, Mozart scrive tre composizioni che, pur nella diversità di tematiche e di impegno tecnico, hanno qualcosa di comune: si tratta dell’Ave verum, del Concerto per clarinetto e orchestra e del Requiem.

Il mottetto per quattro voci miste K618 Ave verum corpus è una delle quattro composizioni sacre del periodo viennese. Mozart lo scrive sulle parole offerte dalla tradizione che celebrano il mistero dell’Eucaristia, condensando in poche righe la lunga meditazione cristiana sull’Incarnazione e la Passione del Signore.



Mozart – Ave Verum

La partitura è basata su accordi di  grande semplicità e dolcezza, come a esprimere tutta la pietà e la gratitudine che i fedeli di ogni tempo provano nei confronti del dolore e del dono della presenza di Gesù  per ogni uomo. La brevità della composizione tempera la solennità di un testo impegnativo con la melodia lineare, in cui il pensiero della morte si distingue per un fraseggio ampio e nello stesso tempo pacificato: esto nobis praegustatum mortis in esamine (donaci di riceverti nell’ora della morte).



Il concerto K 622 in la maggiore per clarinetto e orchestra ha nel secondo movimento, l’Adagio, il suo vertice tematico.

 

Mozart – Concerto per clarinetto e orchestra K 622 – Adagio

 

 

L’orchestra individua un motivo di una malinconia struggente, ma non drammatica o sentimentale; lo strumento solista lo riprende più volte con ampiezza e con le variazioni consuete. Il clarinetto possiede un timbro pastoso che non consente di indulgere, neanche nel primo e nel terzo movimento, alla leziosità di altri strumenti; sembra una voce che attinge la sua forza dalla profondità, la sua malinconia da una certezza segreta, la sua gioia infine da un nascosto dolore.



È stato detto che il contrassegno della melodia mozartiana è il riso tra le lacrime, la gioia smorzata in un sospiro: in questo concerto scritto al termine della vita si sente fisicamente, anche nella tonalità prescelta del la maggiore, che la positività dell’essere domina sul buio della paura.

 

 

È questa vittoria a regnare nell’ultimo lavoro, il Requiem K626 in re minore. Si sa a quali cupe leggende quest’opera sia stata collegata, la convinzione che Mozart aveva di essere stato avvelenato e dunque di scrivere quella Messa non tanto per il suo committente, quanto per le proprie esequie.

La morte lo coglie prima che la partitura sia compiuta e gli studiosi distinguono le parti sicuramente scritte dall’autore e quelle riprese da un suo allievo. Ma anche così il Requiem sorprende per la sua unitarietà e la sua potenza, che toccano il culmine nel Dies irae, la sequenza medievale le cui parole vengono sollevate da Mozart fino a raggiungere la grazia dell’equilibrio tra timore del giudizio e speranza di perdono. Rex tremendae maiestatis/ qui salvandos salvas gratis/ salva me, fons pietatis: dopo la forza dell’orchestrazione dei due primi versi, inaspettatamente si insinua la perentoria dolcezza dell’invocazione finale.

 

Mozart – Requiem – Dies Irae

 

 

Può sembrare azzardato affermare che queste tre composizioni abbiano molto in comune, ma basterebbe ascoltarle con attenzione per cogliere l’impasto di equilibrio e di serenità che le caratterizza.

Non è l’ultimo miracolo del genio di Mozart il fatto che a poche settimane dalla sua morte egli abbia regalato al mondo questa musica in cui la vita domina sul male e sul dolore, con una straordinaria limpidezza di scrittura: secoli di fede confluiscono in una vita sofferta e piena della gioia dell’arte.