AREA – REUNION BLUE NOTE – INTERVISTA A PAOLO TOFANI: Erano la band più politicizzata dell’Italia anni Settanta: gli Area. Ma, ideologia a parte (sempre che questo fosse possibile), erano un gruppo musicale di rara potenza e capacità tecnica. Nelle sue fila un cantante straordinario, Demetrio Stratos, con quattro strumentisti di doti cristalline come il chiattrista Paolo Tofani, il tastierista Patrizio Fariselli, il bassista Ares Tavolazzi e il batterista Giulio Capiozzo. Gente che ha inciso cose eterne, pur nella vistosa specificità delle sperimentazioni degli anni Settanta.



Le vicende della vita hanno portato alla scomparsa di Demetrio nel 1978 e di Capitozzo tre anni fa. Le stesse vicende hanno poi condotto i tre rimasti sul palco per alcune rare reunion, grazie all’opera di stimolo di Mauro Pagani (che proprio negli anni d’oro degli Area, viveva da leader la stagione felice della Premiata Forneria Marconi). Ora gli Area ci riprovano con un concerto attesissimo al Blue note di Milano (21 settembre), ritorno nella capitale lombarda dove la band è stata, ai tempi del Parco Lambro, uno dei nomi simbolo della felice stagione musicale degli anni Settanta.



Una delle menti più ricche e sperimentali degli Area, Paolo Tofani, ora si fa chiamare Krishna Prema (“un nome che sta a indicare Dio-amore, perché io voglio essere il servitore dell’amore per Krishna”) e vive in una fattoria nella campagna piacentina, continuando a vivere di musica.
È senza dubbio uno dei più grandi chitarristi viventi (non solo italiani), anche se la maggior parte dei giovanissimi non ne conosce il nome. Incide musiche religiose per le comunità buddiste e costruisce strumenti a corda, oltre – ovviamente – a dar vita a progetti di musica sperimentale e contemporanea.



È con lui che abbiamo provato a capire il senso di questo ritrovarsi sul palco degli Area, una reunion impedibile per tutti coloro che vivano ancora l’affetto per la grande musica.

Come mai gli Area si sono ritrovati? Divertimento, nostalgia o c’è ancora qualcosa da dire nel vostro discorso musicale?

La voglia è la risultanza di tante esperienze che hanno lasciato il segno nella nostra dimensione umana e che anche dopo tanti anni di lontananza non possono essere dimenticate. Noi non suonavamo e basta: vivevamo insieme, progettavamo, ci sfidavamo l’un l’altro. Poi siamo stati lontani per qualche decennio fino a che, lo scorso anno, la proposta di Mauro Pagani ci ha portato insieme sul palco a Siena. È stato divertente ed emozionante. Ed eccoci ancora qui, pronti per il pubblico di Milano

Gli Area e la PFM sono le due band italiane più conosciute nel mondo. Perché – al di là della tragedia di Demetrio Stratos – a un certo punto è finito tutto?

Anche recentemente mi è capitato, sia a Los Angeles che a Mosca, di trovare giovani che conoscevano e amavano i nostri dischi, ed è stato una bella esperienza risentire l’affetto verso la musica degli Area. Di certo negli anni in cui eravamo molto noti, c’è stato un certo tipo di discorso politico che ci ha segato le gambe. Anzi, diciamo che la matrice politica ci ha proprio fregato.

Lo dici in senso lato o…

No, lo dico in senso proprio concreto. Noi eravamo andati a Londra per lavorare con la Manticore, dove la componente manageriale ebrea era fortissima: come fa un ambiente così a dare spazio a musicisti italiani che ti incidono Luglio, agosto, settembre (nero)?

Visto che hai toccato questo argomento: cosa pensi se riguardi agli anni della vostra militanza politica?

Penso che è stato tutto affascinante. Eravamo giovani, eravamo coinvolti nella ricerca di cambiamento e abbiamo dato tutto quello che abbiamo potuto. Poi ci siamo resi conto che chi ha il potere se lo tiene, a prescindere dalla tessera di partito che ha in tasca. A me quegli anni intensissimi hanno fatto maturare la decisione di cambiare direttamente e in fretta, perché la strada imboccata non andava da nessuna parte. E ne ho percorso un’altra.

Hai intrapreso una strada di conversione religiosa, di spiritualità buddista…

Una conversione che è arrivata alla fine di un’analisi: a un certo punto ho capito che prima della musica c’era l’uomo, c’ero io. Se non c’è uomo, non c’è nemmeno musica. Quando me ne sono andato dagli Area e da un certo ambiente, tanti mi hanno detto “sei un traditore”, ma per me erano voci inutili visto quello che avevo intuito.

Cosa avevi capito?

 

 

Ragionando sulle mie domande ho capito che la politica e l’ideologia offrono riposte transitorie. Invece ho incontrato l’Oriente, dove cercano e danno risposte complete. Siccome sono curioso e non tengo mai una gamba di qua e l’altra di là, mi sono buttato al cento per cento. L’incontro con i maestri indiani mi ha aperto la dimensione interiore e anche se ora non vivo più in un tempio, continuo a vivere seguendo i loro principi.

Il Paolo Tofani di oggi, chi è, se rapportato con quello degli anni d’oro degli Area?

È una persona per 30 anni ha vissuto come monaco in tutto il mondo. E che oggi ha una consapevolezza molto diversa da quando aveva venticinque anni.

Hai scritto una lirica dedicata a Demetrio Stratos, che fa parte di queste recenti esibizioni degli Area. Perché?

Per la necessità di parlagli ancora. Ho vissuto per tanto tempo il rammarico per la risposte che avrei potuto suggerirgli per vivere quel suo ultimo momento di passaggio, perché anche le cose più brutte possono esser vissute in modo diverso. Purtroppo in quei giorni io, mentre lui si spegneva a New York, non ero maturo, così oggi ho scritto quello che avrei potuto dire nei suoi momenti ultimi, quelli più duri. Comunque se penso alle cose che avremo potuto fare insieme, mi riempio di malinconia…

Tu e Demetrio vi sentivate affini? Cosa vi univa?

Anche lui cercava il fondo delle cose perché condivideva con me e con Patrizio Fariselli il desiderio di andare in fondo alle cose in un modo radicale. Quando Demetrio ha trovato il coraggio di mollare gli Area, mi disse “ora ho capito, sto trovando me stesso”. Sarebbe stato bello se quel cammino fosse continuato.

Dagli anni degli Area molte cose sono accadute: oggi tu costruisci chitarre d’avanguardia e ti occupi di musica colta…

 

 

Progetto e costruisco strumenti a corda perché costruire è esplorare. Ed è bello sapere che la tua capacità di dar vita a cose che esprimono è ancora viva e presente. E poi faccio tanta musica. Mi affascina l’elettronica, perché è un modo per aumentare la graduazione del linguaggio, per non rimanere alle frasi fatte. E poi adoro la classica, Bruckner, Stravinskij. Ho scritto pezzi per flauto e sax, per chitarre e archi, per violoncello. Diciamo che non mi sto annoiando.

E le reunion degli Area, che tipo di progetto sono? Solo concerti o sta per arrivare qualcosa di più?

Non ne abbiamo ancora parlato, e quindi non so cosa rispondere. Per ora sperimentiamo questa formula di gruppo aperto, che presentiamo anche a Milano, ma dar vita a un progetto è diverso che trovarsi per una jam. Per un progetto serve tempo, dedizione, motivazione. Certo che comunque sarebbe bello dar vita a qualcosa di nuovo, ma questo dipenderà dalla disponibilità di tutti. In ogni caso io sono disponibile. Sono molto più maturo come musicista oggi di allora…