Avete presente il libro cult “Alta Fedeltà” del rockettarissimo Nick Hornby? Oppure – per i meno avvezzi alla narrativa – la sua trasposizione cinematografica, con un John Cusack sugli scudi e un Jack Black non ancora star hollywoodiana?

Bene, ho scoperto quest’album magniloquente proprio in una di quelle situazioni appassionatamente ricostruite dallo scrittore inglese: Catania, Rock ‘86, imprescindibile negozio di vinili e cd (e altro), già segnalato a suo tempo dal fu Musica (ex inserto musicale de La Repubblica) tra i 10 migliori negozi di dischi d’Italia. Credenziali che, unite a un indubbio gusto musicale e alla tradizione – ben ricostruita in Alta Fedeltà – del negoziante di dischi che passa in rassegna le ultime uscite a un degno volume (a vantaggio dei musicofili più attenti), fanno del negozio catanese uno dei pochi luoghi sopravvissuti – nell’era del download selvaggio – in cui continuano a convivere scambio di cultura musicale e suo attento consumo.

Sto spulciando fra gli scaffali, quando Piero – titolare del luogo – mette su “Hard Times” dei Black Friday, lasciandone la copertina a disposizione – come suo solito – sullo scaffale, fra le ultime riviste specializzate appena uscite e liberamente consultabili. Io e l’altro cliente presente drizziamo le antenne e veniamo catturati dal folk-blues in chiave grunge che trasborda dai solchi. Il tempo di dar vita a una discussione appassionata, degna del libro/film di cui sopra, che l’altro cliente ha già fatto sua l’unica copia: io dovrò attendere qualche giorno per la mia, poi l’ascolterò ripetutamente…

Ebbene, lo stesso Piero aveva sottolineato che non sembra neanche italiano questo duo acustico: io li vedrei a perfezione lungo un immaginario Delta del Mississipi che sfocia – però – in un altro fiume americano, quel Green River vicino Seattle, noto più per aver dato il nome a un serial killer che alla prima band di alcuni futuri Pearl Jam. Ma questa è un’altra storia… O no? Infatti, ciò che colpisce dei Black Friday è la perfetta fusione fra chitarrismo acustico blues (con slide e dobro) e calda vocalità grunge, tanto cara a vocalist come Chris Cornell o Eddie Vedder.

Senza toccare quelle vette, il cantante Luca Sapio (l’unico a non aver fatto rimpiangere John De Leo negli imprescindibili Quintorigo) dispiega la sua intensa grana vocale per tutto l’album, coadiuvato da Adriano Viterbini, che mostra la sua anima di chitarrista folk dopo averci impressionato al MI AMI 2010 con le distorsioni ultra-sature dei suoi Bud Spencer Blues Explosion.

L’album si apre con una delle due composizioni inedite contenute in esso: l’esplosiva Strange Gal, che – costruita su una chitarra percussiva – lascia intravedere un potenziale futuro radioso per il duo romano. Jupiter, l’altro autografo del gruppo, chiude il lavoro: un bozzetto chitarristico su cui si levano vocalizzi e armonizzazioni che richiamano le atmosfere dei canti degli Indiani d’America, come proposto dai Pearl Jam in “Arc”, dal controverso “Riot Act”.

Nel mezzo “Tutte canzoni folk americane tradizionali”, come riportato nelle note del retro-copertina: ecco dipanarsi brani del mitico signore maledetto del blues Robert Johnson, del re del bottleneck Son House, di Charly Patton… Poi t’imbatti nel soul di The Dark End Of The Street di James Carr – vertice espressivo dell’album – e capisci che la continuità stilistica col folk-blues è data non solo dalla rilettura del duo, ma soprattutto dalla vena intima e sofferente che scorre nel brano. Idem in School dei Nirvana (!), splendidamente rivista: non è altro che intima malinconia blues l’introspezione cobainiana, per lo meno nella sua insuperata vocalità, se non nel procedere per riff semplici e identificabili, altro lascito di scuola blueseggiante.

Trouble Soon Be Over è l’augurio coraggioso e fiero che il duo porge a questi nostri “Tempi Duri” (a ricordare che i ricorsi storici di Vichiana memoria riguardano, per fortuna, anche la musica), mentre è insuperabile Hard Times Killing Floor di Skip James, bluesman fondamentale da riscoprire subito, magari nei primi tre capitoli della filmografia The Blues, dedicata al genere da maestri quali Martin Scorsese e Wim Wenders. In the Pines di Leadbelly – nota al grande pubblico come Where Did You Sleep Last Night, nell’interpretazione da brivido dei Nirvana all’MTV Unplugged di New York, nel 1994 – conferma, se ce ne fosse bisogno, che il genere che ha gettato le basi del rock è vivo e vegeto, se un autore come il virtuoso della 12 corde (nato nel 1885 e scomparso nel 1949) viene riletto continuamente da tutti. Insomma, un disco da procurarsi subito, in attesa di vedere dal vivo il duo: di progetti così ispirati c’è un immenso bisogno.

(Giuseppe Ciotta)