Più scrittore, storico o musicologo (parola che lo manda su tutte le furie)? Piero Buscaroli è molte cose insieme, ottant’anni da poco compiuti e portati leggeri, alcuni libri in cantiere e progetti a mazzi come fosse ancora un giovanotto.

L’unico che si sia permesso tre biografie dedicate alla Sonora Trinità, Bach-Mozart-Beethoven. Giornalista al “Borghese” con Longanesi, inviato di guerra (Vietnam, invasione di Praga), direttore di un quotidiano a Napoli, organista, insegnante nei Conservatori di Torino, Venezia, Bologna, critico musicale a “Il Giornale” con Montanelli, e altro ancora.



Politicamente scorretto, a cominciare dall’inestirpabile “cuore nero”, personaggio sincero, sanguigno, imprevedibile. Uomo libero: dalle mode, dai ricatti dell’industria del disco e dei suoi omaggi, dal presenziare alle “prime”. Lontano da cattedre universitarie, chiese, religioni.

Nemico di tv, talk show, riviste in genere. Personaggio facilmente infiammabile, eppure capace di affetti potenti. Minaccia per lettera lo studioso olandese Albert Dunning: «Traditore. Ingrato. Ti ho sempre aiutato, tu neghi perfino di conoscermi. Vengo a prenderti a casa!». Denuncia. Processo. Assoluzione. Vittorio Sgarbi lo ingiuria pubblicamente. Querela, trattative, plateali scuse del famoso critico d’arte. Bocca gli dà del nazista. «Fascista mi sta bene, nazista no». Avvocati, tribunali, condanne.



Buscaroli procede per passioni delimitate. Pochi nomi, amati da sempre, Brahms e Bruckner a integrare la sacra triade di prima. Niente opera italiana, del Barocco solo Corelli, il Novecento e la musica antica mai esistiti. Non si può conoscere tutto, né amare tutto, spiega. Pubblica con piccoli editori (Volpe, Fogola, Camunia, Zecchini) e con Mondadori, Rizzoli, Rusconi. «Non ho mai ricevuto diplomi, premi, medaglie e merende per la cultura», specifica.

Un giorno gli appare in sogno Bach. «La prego, mi salvi dal professor Basso», lo supplica il paffuto Johann Sebastian. Buscaroli gli obbedisce. Tredici anni di lavoro. Un tomo di quasi duemila pagine. Testi originali tradotti ex novo da biblioteche e archivi germanici. Documenti meditati, intrecciati e collegati fra loro. Senza facoltà, assistenti, sovvenzioni, anni sabbatici.



Ne emerge l’immagine d’un uomo bellicoso, ostinato, collerico, ribelle, assenteista. Non il solito pio parruccone, vinto e remissivo, ma una forza della natura. Un Genio. Massimo Mila liquida il libro in due parole: “sterminato pamphlet”. Lo specialista Christoph Wolff lo ignora. La televisione austriaca (Orf) prima intervista Buscaroli poi lo censura.

Sorte simile subisce la biografia mozartiana. Pagine rimuginate per trentanove anni. Verità, illusioni, ambiguità, umani limiti del divino Amadé, fedele obbedienza alla propria vocazione. La costituzione irriducibilmente misteriosa del mondo e della vita. Perplessità e fastidi, tra gli addetti ai lavori. Lidia Bramani, in fondo al suo “Mozart massone e rivoluzionario”, mette duemila note di rimandi bibliografici. Il volume di Buscaroli manca all’appello.

Per completare il suo “Beethoven” posticipa di qualche mese un’operazione al cuore. Oltre mille pagine che fanno discutere, entusiasmano, irritano, in egual misura. Prosa aggressiva, ironie, rabbie. “Febbrile alluvione”, sintetizza Sandro Cappelletto. Fabrizio Della Seta gli fa le pulci: “scrittura lutulenta, incline al feuilleton”, le parole più tenere.

Anche i lettori si dividono. Esagerato, troppo livore, la cosa più sgradevole che abbia letto negli ultimi anni. Eccezionale, duro e bellissimo, affresco di un’intera epoca, immagine veritiera dell’Occidente. Chi ha ragione? Il bolognese Piero non lascia tranquilli. Toglie un artista dal museo e lo rende contemporaneo. Impossibile evitarne il paragone.