“Ringrazio Iddio per avermi posto accanto la musica quasi come una compagna di viaggio, che sempre mi ha offerto conforto e gioia. Che essa possa donarvi nuova e continua ispirazione per costruire un mondo di amore, di solidarietà e di pace”. E’ uno dei tanti inviti formulati da Joseph Ratzinger nel prezioso “Lodate Dio con arte”, (Marcianum Press), collezione di testi relativi alla musica (saggi, conferenze, agili allocuzioni) scritti dal Pontefice nel corso di vari decenni.



Il volume è diviso in quattro parti: musica sacra, musica liturgica, spiritualità musicale, brevi ringraziamenti pronunciati prima dei concerti vaticani. Ognuno potrà attingervi a piene mani, tanto il teologo navigato quanto il semplice fedele affezionato alla Messa domenicale: nitide fotografie e chiare direttive vi sono raccolte. Il libro è una miniera di spunti, indagini, sollecitazioni. Lampeggia di ardite sintesi, punge con giudizi affilati, sorvola territori semivergini.



Non vi trovano spazio soluzioni preconfezionate, pie illusioni, buonismi, medicamenti miracolosi. Benedetto XVI riafferma con decisione le sue indicazioni in merito, da tempo note agli addetti ai lavori ma il più delle volte bellamente ignorate. Alcune tesi liturgiche postconciliari di Karl Rahner sono riformulate con superiore equilibrio, le interpretazioni musicali di Costa e Rainoldi demolite perché separano il Nuovo Testamento dalla storia della Chiesa, l’antitesi esoterico/utile che spesso blocca il compositore è ricondotta a feconda unità.

Ratzinger non fa sconti a nessuno: la musica classica (con poche eccezioni) si è ritirata in un (ambiguo) ghetto elitario in cui possono entrare solo specialisti, il pop è una fabbrica del banale a livello industriale, il rock esprime passioni elementari e i suoi festival hanno assunto il carattere di un controculto rispetto al cristianesimo.



Sembra di leggere per la prima volta precetti che già credevamo di sapere: rock e pop sono inconciliabili con la liturgia della Chiesa; certa musica giovanilistica provoca l’estasi dei sensi, ma non innalza i sensi allo spirito, anzi, avvolge lo spirito nei sensi provocando distrazione, confusione, stordimento; la musica liturgica deve essere umile, il suo scopo non è l’applauso ma l’edificazione; l’organo a canne è il re degli strumenti; il coro non sta di fronte a una comunità in ascolto come di fronte a un pubblico, ma è esso stesso parte di quella comunità, canta per essa.

Gemme delicate e sferzate cristalline si alternano in egual modo: ridurre la chiesa a liturgia della parola è equiparare la novità del cristianesimo alla sinagoga e abbandonare la via a Cristo. Certe riforme liturgiche sono morti che seppelliscono altri morti. Il conflitto fra comprensibilità/eseguibilità della musica liturgica e assolutezza dell’arte può dare frutti solo se rinvia a un’unità interna che va ogni volta nuovamente cercata.

Se non c’è festa, l’arte diventa museale e vive di ricordi; ma non c’è festa senza liturgia, senza l’invito a un oltre che travalichi l’uomo. Se si elimina la base religiosa della musica si minacciano la musica e l’arte stesse. La musica sacra è fede divenuta cultura: deve giustificare, a fronte della superbia puritana, la necessaria incarnazione dello Spirito nell’avvenimento musicale e deve cercare, a fronte della quotidianità, la direzione dello Spirito e del cosmo verso il divino.

I consigli amorevoli e paterni dell’ultima parte sono illuminati retroattivamente dalle prime tre sezioni. Per il Papa, in Mozart occhieggia lo splendore della verità, il suo Requiem è preghiera al Dio giudice giusto e misericordioso, in un piccolo strumento a fiato si nasconde un pezzetto di creazione colmo di una promessa. Tocchi poetici: gli artisti cristiani hanno preso la croce di Cristo come una penna, hanno usato le parole come reti e con esse hanno pescato il mondo: il Verbo come amo, esca la carne del Sovrano dell’universo.