La ragione per cui si ritorni a parlare di un disco a più di tre mesi dalla sua uscita rientra nel campo della pura cronaca (anche se poi, inevitabilmente, le riflessioni spingono un poco più in là): l’album che Riccardo Chailly e Stefano Bollani hanno dedicato alla musica di George Gershwin si è infatti aggiudicato il “disco d’oro” per aver superato la soglia delle trentamila copie vendute.



La notizia, battuta da tutte le agenzie di stampa, finisce qui, ma può anche bastare da sé, perché con i tempi che corrono riuscire a raggiungere un traguardo così importante (e per di più con un cd classico) non è davvero impresa da molti.

Si tratta di un risultato che la “strana coppia” ha saputo costruire meticolosamente nel tempo, inanellando piccoli-grandi successi giorno dopo giorno: tre settimane di permanenza nella Top Ten italiana (con l’exploit dell’ingresso diretto all’8° posto, il più alto per un disco classico), sedici nella Top 100 (dove attualmente staziona ancora al n. 21), primo posto raggiunto nella classifica degli album più venduti su iTunes e su Amazon.



L’impressione è che questi due artisti – intelligenti, preparati e navigati – si siano dati appuntamento nel posto giusto (le partiture di Gershwin) e al momento giusto (in un frangente in cui la grande musica ha bisogno più che mai di far conoscere al grande pubblico la modernità del suo linguaggio e l’universalità del suo messaggio di bellezza).

Questo disco rappresenta infatti la reale testimonianza di un vero e proprio incontro: in generale tra la classica e il jazz, ma in modo particolare tra due personalità vincenti come quella di Chailly, direttore d’orchestra da oltre trent’anni protagonista assoluto sulle scene internazionali alla guida delle più blasonate compagini del pianeta, e di Bollani, pianista jazz, geniale compositore e improvvisatore con il talento da showman e una spiccata predisposizione per “tutto quanto fa spettacolo”.



La cosa più ovvia è che questo incontro avesse luogo in un terreno comune ma di frontiera, sotto il segno appunto delle note di Gershwin e di alcuni dei più celebri capolavori strumentali – dalla Rapsodia in blu al Concerto in Fa, passando per la la suite sinfonica Catfish Row – cercando di trovare una sintesi ideale e di raggiungere la formula alchemica che avvicina tra loro due mondi apparentemente lontani e inconciliabili, nel massimo rispetto reciproco e concedendosi anche qualche divertente gag (come in coda all’ultimo brano, Rialto Ripples).

La sensazione è quella di un’onestà, di una sincerità e di una spontaneità di fondo assolutamente vincenti e l’impressione è che Chailly e Bollani, in compagnia degli impeccabili professori della Gewandausorchester di Lipsia, a suonare insieme si siano proprio divertiti, e anche parecchio.

Una sfida vinta senza riserve, che vale assolutamente la scommessa di un ascolto; e i dati di vendita, almeno questa volta, sembrano non ammettere repliche (se non quelle di un già annunciato disco bis).