Il Teatro dell’Opera di Roma è in piena fase di rilancio: nuove forme di abbonamento, una programmazione diretta a un pubblico più vasto e più strette collaborazioni internazionali di cui particolarmente importante quella con il Festival di Salisburgo.
“Elektra”, in scena sino all’8 ottobre, è parte di questa collaborazione in quanto prodotta dai due teatri. Nel catalogo Strauss- Hofmannsthal, “Elektra” è uno dei lavori rappresentati con maggiore frequenza in Italia, ma anche più fraintesi: negli ultimi anni si è visto alla Scala, all’Opera di Roma, al Maggio Musicale fiorentino, al Massimo Bellini di Catania, al Filarmonico di Verona, a Modena, a Piacenza a Ferrara nonché nei Festival di Taormina, Macerata, Pompei e Spoleto.
È spesso fraintesa perché le messe in scena del capolavoro di solito traggono spunto dall’anno del suo debutto (1909) con gli sviluppi delle teorie freudiane e ignorano che sia Strauss sia Hofmannsthal erano cattolici credenti e praticanti (il secondo con particolare rigore). L’epicentro della tragedia in musica, quindi, viene posto nella crisi e nelle ossessioni, anche sessuali, delle tre protagoniste: Elettra “sola” e tesa alla vendetta, Clitennestra insoddisfatta da Egisto (e in precedenza da Agamennone) e tormentata dai rimorsi, Crisotemide disperatamente rivolta alla ricerca di un uomo che la faccia sua.
Si ignora che il vero punto centrale è il perdono: Clitennestra lo chiede ad Elettra e al resto del mondo, Crisotemide lo invoca per porre termine al sangue nella reggia degli Atridi. Elettra, che non sa e non vuole perdonare, si autodistrugge in una danza infernale.
Nell’”Elektra” in scena a Roma il regista Nikolaus Leinhoff riscopre questa dimensione centrale del lavoro, situandolo in quello che può essere un caseggiato popolare in rovina ai giorni nostri (le scene sono di Raimund Bauer, i costumi di Andrea Schimdt-Futurerer) e dando alla tragedia una dimensione intimistica.
“Elektra” è un prodigio, al tempo stesso, di complementarità e di contrasto tra il testo di Hofmannsthal e la partitura di Strauss; circolare il primo (con il proprio epicentro nel confronto-scontro tra Elettra e Clitennerstra, interamente dedicato al significato del perdono); vettoriale il secondo sino all’orgia sonora in do maggiore del finale.
L’edizione di Salisburgo mostra, grazie alla direzione musicale di Daniele Gatti e al virtuosismo dei Weiner Philarmoniker come sia l’azione sia la musica abbiano una struttura a ellisse; un’introduzione quasi contrappuntistica (il dialogo delle ancelle per preparare al monologo di Elettra) si snoda in una vasta parte centrale in cui il confronto tra Elettra e Clitennestra (colmo di disperazione proprio per il diniego del perdono da parte della prima) è inserito tra due altri confronti – quelli tra Elettra e Crisotemide (rispettivamente sul significato della vita e sul valore della vendetta); in tutta questa parte centrale si sovrappongono due tonalità musicali molto differenti per unificarsi dalla scena del ritorno di Oreste e del duplice assassinio e predisporre, quindi, il do maggiore della danza macabra finale.
Nel palcoscenico del Teatro dell’Opera (più piccolo di quello della Grosses Festspielhaus), due aspetti sono accentuati: i richiami al cinema espressionista tedesco degli Anni Venti ed il clima claustrofobico della Regia degli Atridi ormai in decadimento. Tra mura sghembe e pavimenti mezzo divelti, si svolge un dramma che coinvolge essenzialmente tre donne (l’opera è del 1909 quando si sentivano i primi cenni della psicoanalisi): Elettra (una splendida Eva Johansson) tesa vesto la vendetta, Clitemnetra (una Felicity Palmer che a 67 anni è ancora una grande cantante ed una superba attrice) rosa dal rimorso e Crisotemide (una dolcissima Melanie Diener) il cui obiettivo è invece uscire dalla gabbia, trovare un uomo ed avere un figlio. Egisto (Wolfgang Schimidt) ed Oreste (Alejandro Marco-Burhmester) non sono che dei comprimari.
I veri vincitori sono il maestro concertatore Stefan Soltesz, chiamato all’ultimo momento per rimpiazzare il forfait dato da Fabio Luisi e l’orchestra in grandissima forma. Data la potenza dell’orchestra (note le dissonanze mai prima di allora udite) il maestro concertato è alle prese con la sfida di non oscurare le voci (ciascuna parola è densa di significato).