La musica rock opera al più alto livello della ragione, perché sa abbracciare il cuore e lo stomaco così come la mente. (John Waters) “Yeah”. “Yeah”. “Hee”: grugniti pensierosi, apparentemente distratti, che emergono in modo confuso sulle prime note musicali che si stanno dispiegando. Prima la chitarra acustica pennellata in modalità strumming, quasi a cercare gli accordi giusti, con incedere meditabondo, casuale, a indicare una strada confusa, tutta da esplorare. Poi in contrasto è il violino a mettersi subito in mostra sicuro e orgoglioso di sé, con le idee ben chiare. Quindi è la sezione ritmica a inseguire le pennellate randagie della chitarra. Ogni tassello si sta piazzando al suo posto, magicamente, come avviene di rado, gli strumenti comunicano tra di loro, la sintonia è in atto: la strada da percorrere adesso appare così chiara che al cantante sfugge uno “yeah” sicuro e soddisfatto. Andiamo a cominciare, sembra suggerire. Dove porterà questo percorso? Non lo sappiamo, non lo sanno neanche loro quel giorno in quello studio di registrazione.
Spesso le canzoni nascono con difficoltà, prove su prove su prove, addirittura si arriva a incollare pezzi presi da registrazioni diverse per avere la resa perfetta. Non è il caso, questa volta. Tutto nasce spontaneamente, prende forma sotto gli sguardi stupiti e meravigliati dei musicisti stessi. E’ la musica stessa che ha preso il sopravvento e li sta guidando. Dove? Là dove ha inizio la guarigione, perché questo è il potere della musica, guarire le pene del cuore e dell’esistenza. La guarigione è cominciata, è la frase che ripete il cantante, quella e basta, in modo ossessivo “the healing has begun” e “UH!” sobbalza e “YEAH!” e poi “AH! UH!” mentre il violino è partito per distanze cosmiche che si innalzano altissime. Sì la guarigione è cominciata, adesso comincia anche la canzone vera e propria che sta prendendo forma davanti a loro, dentro di loro, sopra di loro. Che privilegio ogni volta che si fa ripartire questo piccolo pezzo di musica, ogni singolo pezzo di musica, sorprendersi ancora e ancora davanti a quanto sta prendendo forma. Il pianoforte ricama in sottofondo e il cuore sobbalza.
“AUH!” il cantante non riesce a contenere la gioia che questa musica gli sta procurando, la guarigione è davvero in atto. Improvvisamente la musica si placa ed è il cantante a chiederlo: “Listen listen”, ascoltate ho qualcosa da dirvi. Si lascia andare, il cantante, in un monologo serrato, quasi fosse un predicatore di una vecchia chiesa nel cuore profondo del Sud degli States: “When you hear the music ringin’ in your soul and you feel it in your heart and it grows and grows and it comes from the backstreet – rock & roll – and the healing has begun”. Quando ascolti la music ache ruggisce nella tua anima e la senti nel tuo cuore e cresce, cresce, arriva da strade secondarie – rock and roll – la guarigione ha inizio.
E ancora: suoniamo questo vecchio disco di Muddy Waters che la musica ci guarisce le ferite dell’anima del cuore della mente, di questo mondo che sembra deluderci ogni istante, balliamo al ritmo del rock’n’roll se solo ti lasci aprire un po’ e lasci che ti guarisca in questa festosa stradina secondaria, che la guarigione abbia inizio: “Let’s play this Muddy Waters record you got there, if you just open up a little bit and let me ease on this backstreet jellyroll”. Nel crescendo tumultuoso che ormai si è impadronito di tutti i musicisti presenti, al cantante sfugge anche un “I can’t stand myself”, non ci sto più dentro, è troppo, la musica mi supera da ogni parte. Siamo noi che suoniamo o è la musica che suona noi stessi?
Per Van Morrison, la musica è sempre stata un immersione purificatrice per lenire e guarire i dolori dell’anima. Il leone di Belfast, come lo hanno chiamato, la miglior voce bianca di R&B. La cosa straordinaria è che la sua immersione in questo mare è talmente esplosiva e contagiosa da propagarsi immediatamente all’ascoltatore. And the Healing Has Begun, contenuta in un disco che non è neanche dei suoi migliori (“Into the Music”, che però è un gran beltitolo che esprime il bisogno di immergersi a fondo nella musica), ma che viceversa chiude il suo decennio migliore e più esaltante, è l’esplosione innegabile di questo sentimento universale. Perché il cuore di ogni uomo a qualunque latitudine si trovi desidera la stessa cosa: una bellezza, come avrebbe detto anni dopo un altro gigante dell’anima e del cuore, Nick Cave, impossibile da definire, ma non per questo da rinunciarvi. Solo un cuore di pietra – o talmente anestetizzato dalla distrazione – può non lasciarsi trascinare da questa danza universale che ricollega una umanità errabonda e confusa al suo cuore pulsante. Che la guarigione abbia inizio. E’ troppo tardi per fermarsi ormai.