“Kaleidoscopic Arabesque” è un disco di due musicisti che lavorano insieme da molti anni ma che fino ad ora non aveva offerto lavori in duo: Bebo Ferra, sardo, ma ormai da tempo milanese d’adozione, e Javier Girotto anch’egli “adottato” dall’Argentina, già noto al pubblico per le sue contaminazioni tra il jazz la musica della sua terra: due musicisti “contaminati” per un disco di contaminazioni (quando questa parola esprime più la caratura di “dialogo” interculturale).



La musica offerta è estremamente rigorosa e convincente: “sono due, ma potrebbero essere quatto perchè in esso vi si ritrovano gli elementi che compongono la materia” scrive Paolo Fresu in quarta di copertina. Effettivamente sembrano un’orchestra intera.

La chitarra apre con il brano eponimo su un andamento in 7/8 che culla l’ascoltatore offrendo tutti gli elementi che si ritroveranno nel corso della sessione: un dialogo serratissimo come solo la formazione in duo può offrire, armonie che sfociano in squarci modali di derivazione jazzistica, atmosfere meditative e allo stesso tempo incalzanti.



Ferra si assume l’onere di scrivere tutte le musiche: come compositore è veramente capace di sviluppare un discorso stratificato. Da una parte infatti le melodie sono chiare e ben intelligibili, dall’altra queste musiche sono impreziosite da una genialità armonica ricchissima, da un senso del tempo impressionante e una complessità ritmica che fa sobbalzare l’ascoltatore stupendolo con scelte mai scontate né pleonastiche e sempre estremamente musicali.

Come strumentista le chitarre, classica ed acustica, vengono da lui sviscerate in tutte le loro potenzialità. Leggerissime e ben calibrate sono le sovrapposizioni in sede di incisione dei fiati: Jirotto spazia dal soprano al baritono, passando dal clarinetto basso a vari flauti dell’ America del sud; quando poi imbraccia il soprano, il suo sforzato graffiante e parossistico assume i connotati di una sua cifra stilistica irrinunciabile.



Possiamo catalogare questa musica? C’è dentro il retroterra sardo e argentino dei due musicisti, echi da jazz da camera, interplay e improvvisazioni rigorosamente jazzisitiche, suggestioni classiche moderne: è tutto questo e molto di più. Cos’è allora? Di sicuro è musica bella come raramente se ne ascolta e che ogni appassionato di musica, a prescindere da ogni genere musicale che predilige, dovrebbe incontrare.

(Michael Alberga)