SUBSONICA – EDEN – I Subsonica sono ormai un gruppo “ecumenico”, al pari del Vasco nazionale. Il favore popolare li ha resi intoccabili: alle frotte di fan sempre presenti ai loro tour – piuttosto che a quelli che comprano a scatola chiusa qualunque loro uscita discografica – poco importa delle elucubrazioni critiche sulla vena compositiva della band, argomento che torna attuale a ogni loro nuovo album. È il destino di chi s’è sempre mantenuto su livelli artistici rilevanti, salvo poi pagare un fisiologico calo d’ispirazione (almeno col precedente L’Eclissi, del 2007).

Ora, rintracciare momenti di stanca nel cammino d’un artista è onestà critica e intellettuale, ma rompere le scatole a chi sceglie di reinventarsi piuttosto che riciclarsi calligraficamente – rinfacciandogli di non essersi ripetuto, quando è proprio lo sterile status di standard che le band coraggiose rifuggono – è da talebani critichini musicali: in Italia, di questi club anti-Subsonica per partito preso, ce ne sono parecchi.

Nella musica pop (nel senso più nobile e onnicomprensivo del termine) è quasi impossibile – per i più svariati motivi, talvolta cumulabili fra loro – ripetersi ad alti livelli, con cadenza regolare, a ogni nuovo lavoro. La band torinese – nei 15 anni ufficiali di carriera – ha saputo farlo con Microchip Emozionale (1999) e Amorematico (2001), ma – in parte – anche col bestseller di pop evoluto Terrestre (2005): questo, aggiunto al fatto che dal vivo il quintetto continui a onorare la sua fama di live act entusiasmante, essendo riuscito nell’intento programmatico – prima inedito in Italia – di trasformare le platee rock in autentici dancefloor, basta e avanza per metterlo al riparo da critiche gratuite. In un’epoca di digitalizzazione diffusa, è altresì opportuno ricordare che i torinesi furono tra i primi – sicuramente i più efficaci – a creare un canale diretto coi fan per mezzo del loro, cliccatissimo, sito web.

Dato a Cesare quel che è di Cesare, bisogna adesso parlare del nuovo album Eden per ciò che è e per come suona, evitando paragoni improponibili con l’indiscussa doppietta-capolavoro sopracitata, che proiettò i Subsonica nel novero dei gruppi italiani imprescindibili. È proprio lo stesso Samuel – nel riuscito proto-dancehardcore di Benzina Ogoshi – a urlarlo dal nuovo cd: “Non siete riusciti a bissare Microchip Emozionale!”. Ovvio, l’effetto sorpresa svanisce, è one shot: la sorpresa s’estingue in se stessa, altrimenti non sarebbe tale! Naturale che, dopo aver creato e consolidato uno stile proprio, qualsiasi band incontri poi difficoltà a suscitare lo stesso entusiasmo che accompagna le cose “nuove”.

Con Eden siamo dalle parti della leggerezza di Terrestre, ma con più elettronica. Che i Subsonica siano un gruppo che divide è testimoniato anche dalla trasversale ed eterogenea rassegna stampa che accompagna quest’ultimo full-lenght: si va dal prevedibile (“Il loro disco più importante”) al caustico (“Mestiere al posto dell’ispirazione”) all’entusiastico (“Grandissima vena creativa”). Dove sta il vero lo lasciamo a voi, a noi il compito di descrivere – come sempre – le tracce, 11, di questo nuovo lavoro.

La title-track s’allontana dal controverso pastiche sonoro, debitore dei Chemical Brothers, che aveva inficiato parte di L’Eclissi: qui i suoni sono spaziosi e freschi. La definizione di Max Casacci – il cui lavoro chitarristico, essenziale e frastagliato, caratterizza positivamente tutte le canzoni – è calzante: è il loro disco più colorato. Policromatico anche il paesaggio sonoro di Serpente, con un finale degno dei migliori Asian Dub Foundation. Il drum&bass de Il Diluvio ci riporta, in modo più consapevole, dalle parti dell’omonimo debutto del 1997. Prodotto Interno Lurido ha qualcosa del sound di Exciter dei Depeche Mode, ma il refrain è puro Subsonica style.

Con la già citata Benzina Ogoshi arrivano le novità: nulla è fuori posto, lo spoken word di Samuel è centrato, il basso dritto e serrato – di matrice no/wave – è una roccia, esplosivi i synth di Boosta e il chitarrismo schizzato che l’accompagna. E, in coda, troviamo la simpatica e intelligente risposta – in stile bimbomix – della band ai suoi detrattori di cui sopra. Sul Sole saltella intorno a una chitarra che si sparge sul pezzo come un’esplosione di coriandoli, colorati come le belle immagini del testo. Quando rimanda al Morgan solista: una via subsonica alla canzone italiana, sebbene sotto il livello dei pezzi precedenti. Lo stesso dicasi per Istrice. Tra Kingston e Bristol si colloca Tra gli Dei e i livelli – di sound e arrangiamenti – tornano alti, come nella seguente La Funzione: new wave britannica decisamente eighties, coi Righeira come special guest.

L’Angelo chiude discreta (forse troppo) il lavoro e la sensazione è questa: se da gruppi di tale levatura si pretende che spostino la loro asticella artistica sempre un po’ più in su, allora i cinque – con Eden – ci sono, in buona parte, riusciti. Quantomeno a livello sonoro non ci sono dubbi. Un paio di cali d’ispirazione nella scrittura musicale, su 11 episodi, possono anche starci per una band al 7° album in studio.

Da un punto di vista chitarristico, però, questo è decisamente il lavoro meglio interpretato da Max Casacci: originale, fantasioso, misurato nel difficilissimo compito di dire molto con poco; fresco e avanti nei suoni e null’utilizzo non ortodosso o convenzionale dello strumento. Aggiungiamo una sezione ritmica mai ridondante e un Boosta meno miscellaneo e più incisivo, come ai tempi della monumentale Strade (da Microchip Emozionale), e per la tipica vocalità di Samuel è un gioco da ragazzi incasellare nella mente dell’ascoltatore frasi e costrutti decisamente ispirati.

Insomma, se bisogna sempre attendere al varco i Subsonica coi fucili spianati, allora non si fa un bel favore né alla musica, né ai loro fan, né a chi li ha seguiti in modo altalenante, né – soprattutto – a chi volesse approcciarli da questo nuovo album. Se – invece – vogliamo dire le cose come stanno, diciamo questo: Eden è un disco abbastanza riuscito. Se a farlo fosse stata una band emergente, staremmo qui a gridare al miracolo, ma siccome viene da uno dei gruppi italiani più influenti degli ultimi vent’anni, allora pare il solito compitino didascalico e ben fatto. Ascolto dopo ascolto, scoprirete che non è affatto così.

(Giuseppe Ciotta)