La frase “You may all go to hell and I will go to Texas” di Davy Crockett che si trova sulle tazze-souvenir ben si adatta allo spirito che si respira quando si arriva ad Austin, Texas. Qui non ci sono gli Usa dei serial patinati come si capisce dai tramonti rossi, i semafori penzolanti in mezzo agli enormi incroci e i corvi appollaiati sui cavi. Il festival musicale indie più importante del mondo (alla sua 25° edizione), il SXSW (South by Southwest), si svolge qui, a tre ore dal Messico, nella terra dei petrolieri con la benzina che costa il doppio. Qui, dove le strade sembrano infinite, centinaia di artisti, o presunti tali, cercano i loro 15 minuti di visibilità.



La scritta “Welcome to The Live Music Capital of the Word” ti accoglie all’areoporto. Non è presunzione, è un dato di fatto che molti musicisti scelgano la capitale texana per risiedervi e lo è anche la presenza di più di 100 location per la musica dal vivo, studi di registrazione e radio. Al baggage claim dell’Aeroporto Internazionale Austin-Bergstrom delle enormi chitarre campeggiano sulle teste dei musicisti, sono rare le persone senza una custodia e spesso si incontrano montagne di strumenti lasciati lì in attesa che tutto scenda dal nastro.



Vista la vocazione della città non credo ci sia troppa sorpresa per i locali, ma il martedì,  primo giorno della branch musicale del festival (la parte dedicata ai film è iniziata la settimana prima) è un’invasione, una valanga. Addetti ai lavori, musicisti o presunti tali e appassionati andranno a riempire le varie location del festival, dividendosi tra quelle ufficiali, con tanto di divieti di fotografare e filmare, accessi regolati dai famigerati e cari pass (badge o Wristbands) e non ufficiali totally free o a poco prezzo.
Il costoso pass dà diritto alla precedenza sui peones che non l’hanno acquistato alle venue ufficiali. Se però il locale è pieno non si entra comunque. La spesa di 500 dollari è da ponderare bene.



Guardando i nomi sui cartelloni e ascoltando i più di 800 brani messi a disposizione dall’organizzazione in download gratuito si sente subito che l’ecletticità è un punto fermo della kermesse. Si spazia in tutte le direzioni, anche se la musica Traditional-Country-Rock-Folk-Roots la fa da padrona, seguita da persone generalmente over 35 (anche se non è detto). Può anche succedere di vedere Willie Nile (rocker di NY della generazione “born too late” e un po’ sfortunata venuta dopo Dylan e contemporanea a Springsteen) di fianco a degli entusiasti ventenni e assistere al concerto dei Low (dal Minnesota, punta dell’american Indie) con a fianco un interessato over 60.

Gli artisti si esibiscono dalla tarda mattinata fino a notte in showcase (piccoli concerti che vanno dai 20 ai 50 minuti)  e le location, a parte teatri (tra cui il famoso Moody Theater, quello dove viene registrata la trasmissione tv Austin city Limits) sono anche chiese, pub, discoteche, bar, case private, parcheggi e molto di più. Ci sono locali che trasformano il loro patio o il proprio parcheggio, montando un piccolo palchetto, spesso poco più di 4 assi e 2 pallet, i fusti della birra vuoti come seggiolini, in un rustico quanto esotico posto per godersi concerti altrimenti non apprezzabili.

Ma un artista che viene al SXSW non lo fa solo per una data e spesso è possibile vederlo in diversi contesti. E il risultato può cambiare parecchio. Ho assistito per pura casualità allo showcase appena dopo le 12 di Kevin Welch (songwriter di una certa esperienza) solo in mezzo a gruppi e artisti molto più rock in un bellissimo locale (il Dogwood) con 2 palchi (uno outdoor e uno indoor) ed è passato via senza che quasi me ne accorgessi. Nel  pomeriggio l’ho ritrovato in uno scalcinato parcheggio, con i famosi fusti di birra, senza finestre, polveroso e puzzolente e dalla pessima fama (il G&S Lounge). Un’esibizione molto più profonda e convincente, lontana anni luce da quella mattutina.

Lo stesso ma quasi nel verso opposto è accaduto per le Chapin Sisters (neanch’io sapevo chi fossero) due sorelle che fanno folk-pop accompagnate dal loro gruppo, lì per caso, a far da tappabuchi  in una sala nel retro del famoso “Threadgill” (ristorante tappezzato di foto dei grandissimi che  sono passati di lì, da Stevie Ray Vaughan a Jerry Garcia). Risentirle nella chiesa presbiteriana di St David dove tutti i particolari della loro musica vengono esaltati è stata una scoperta.

Certo, la vastità della proposta porta a volte a dover fare scelte dolorose. Può capitare di vedere J Mascis (Dinosaur Jr) fare 10 minuti svogliati il pomeriggio e poi scoprire che la sera ha suonato un’ora intera facendo anche una cover di Circle di Edie Brickell (la moglie di Paul Simon). Nello stesso locale si può assistere alla esibizione di un crooner e subito dopo di un attempato rocker oppure di un gruppo di folli giapponesi che riescono a far ballare anche i cowboy più rigidi. Non c’e’ soluzione di continuità, si deve essere disposti a vedere di tutto, dalle svedesi (bellissime) che fanno un’arida elettronica ai Riverboat Gamblers (altra scoperta) che fanno punk rock violentissimo ad uno ottenebrato Roky Erikson (fondatore dei 13th Floor Elevators, il primo gruppo psichedelico della storia del rock) che non si ricorda neanche più il suo nome, ma con al suo fianco Billy Gibbons (chitarrista dei famosissimi ZZ Top). Oppure trovarsi di fronte a Steve Wynn e Peter Buck (il chitarrista dei REM che qui suona il basso) mentre si prende una birra e scambiarci due battute, come se fossero due persone qualsiasi. 

All’insegna dell’eccletismo questa grande vetrina musicale porta nel sud ovest il futuro e il passato con lo stesso rispetto e con lo stesso interesse. Il pubblico, forse abituato, forse se lo aspetta o forse è solo tollerante, ascolta e applaude, partecipa e se non interessato si prende una birra in attesa del prossimo set, senza contestazioni o fischi, magari pensando che il prossimo artista sarà la scoperta dell’anno.

Inutile dire che prima di partire è assolutamente necessario cercare consigli, pareri e avvertimenti. Bisogna raccogliere tutte le esperienze e farne tesoro e limitare gli errori da newbe (il mio è stato  quello di non affittare l’auto) e perdersi nella infinità della proposta. Ad esempio ho scoperto il venerdì che due giorni prima si era esibita Wanda Jackson con Jack White al parcheggio del San Jose’ Motel (ribattezzato SXSJ) totalmente gratis.
Riuscire a scoprire cantanti e gruppi che da queste parti non arriveranno mai per un’amante della musica può essere quasi un dovere. Il margarita di Guero e i 28 gradi fanno il resto.

(Raffaele Concollato)