ROGER WATERS – THE WALL LIVE – Si è conclusa la 4 giorni milanese del tour “The Wall live”, di Roger Waters, fondatore, bassista e paroliere di uno dei gruppi rock più famosi di ogni tempo, i Pink Floyd. Waters è stata anche la mente critica della banda, al punto di volerne la fine (che però ha proseguito con grande successo anche dopo la sua uscita nel 1984). “The Wall,” opera rock uscita nel 1979, fu essenzialmente un album di Waters, in cui gli altri componenti del gruppo fungevano praticamente solo da musicisti (a parte un paio di pezzi, peraltro non secondari, a firma di Gilmour, chitarrista del gruppo).
Nel 1982 uscirà poi un fortunato film, curato dal gruppo e da Alan Parker. The Wall è un’opera (oggi si direbbe multimediale) autobiografica, fondamentalmente cupa, con accentuati rimandi a Orwell. I temi sono la mancanza del padre (morto ad Anzio nello sbarco del 1944), la condanna della guerra, il difficile rapporto adolescenziale con la madre (amorevole ma iperprottetiva fino a essere opprimente, rapporto sublimato nell’acustica e toccante “Mother”, eseguita in solitario e con le immagini del tour del 1981 come sfondo), una scuola vista come strumento di controllo sociale (che portò al senso di ribellione esaltato dalla planetaria hit “Another brick in the Wall”, eseguita con un gruppo di bambini per l’occasione) e una vita da rockstar, tra camere d’albergo e sesso occasionale (“In the flesh”; Zappa con ben altro spirito descrisse la stessa vita in “200 motel…”).
Non solo, la crescente incapacità di esprimere i propri sentimenti (che porta alla crisi sentimentale, all’alienazione, alla paranoia mentale, al rifiuto degli estranei, compreso il pubblico dei concerti rock, una bestia infernale e stupida), tutti mattoni del muro dell’incomunicabilità e dell’auto-isolamento.
L’assunto è che questo atteggiamento individuale è causa della trasformazione xenofoba della società. Inevitabile che si sfoci nell’autoritarismo e nella guerra. Però il meccanismo infernale si può inceppare, se si rifiuta la “sicurezza” del muro e si accetta di esserne espulso (“The Trial”). Allora il muro può crollare e l’individuo diviene libero di cercare la propria strada.
La parte più riuscita dell’opera risiede nella descrizione della crisi di identità dell’uomo moderno e della sua crescente alienazione, temi peraltro presenti in quasi i tutti i dischi dei Pink Floyd.
Il concerto replica fedelmente gli arrangiamenti originali del disco. Waters nei passati tour ha dimostrato una brillante capacità di reintrepretazione della musica floydiana (al contrario dei suoi ex compagni). Con ammirevole onestà di intenti, ha voluto fare un operazione a metà tra il nostalgico e lo storiografico. Nel 1980-1981 si poterono tenere gli spettacoli solo in 4 città, per la complessità e il costo della rappresentazione.
Waters ha sempre avuto il cruccio di non aver potuto all’epoca rappresentare in maniera più continua lo spettacolo. Oggi lo può fare, oltre a poter superare alcune limitazioni tecniche dell’epoca. Questo tour è stato pianificato in maniera molto attenta (anche economicamente, è sold out ovunque) e si rifà al progetto iniziale del 1980.
All’inizio il muro è solo laterale e viene completato gradualmente fino alla fine della prima parte. Iniziano i 20’ più inquietanti dello spettacolo, con i musicisti scomparsi alla vista del pubblico, che vede solo un enorme muro bianco. Una reminiscenza del gusto avanguardistico del gruppo (un espediente utilizzato in Blue, il film di Jarman).
E’ anche la parte più difficile dello show per i musicisti. Non è facile suonare dietro un muro e per il pubblico il rischio di annoiarsi è forte. L’abilità dei musicisti è cruciale per la riuscita dello spettacolo, come l’apporto delle spettacolari proiezioni. Le differenze rispetto al tour originale sono in un’accentuazione del messaggio pacifista con proiezioni durante tutto lo spettacolo di volti di persone (non famose) morte per conflitti in varie epoche, anche recentissime.
Nell’intervallo (eh già, c’è anche l’intervallo: quante volte capita in un concerto rock?), sul muro ne vengono proiettati a centinaia. E poi Waters stesso: oggi finalmente in pace con sé stesso (allora caro Roger, il tempo non solo passa velocemente), riesce persino a scherzare e giocare con il pubblico, dedicando ironicamente a tutti i paranoici presenti “Run like hell”, togliendo un po’ di drammaticità allo spettacolo, senza penalizzarne l’impatto complessivo.
E’ uno spettacolo imponente, studiatissimo fin nei minimi particolari (incredibile la costruzione del muro, con uso di piattaforme mobili). Il livello è quello delle migliori rappresentazioni operistiche teatrali. La resa sonora è magnifica, anche in uno spazio “rischioso” come il forum.
La concezione visiva dello spettacolo è datata, decisamente frontale (le tribune laterali risultano penalizzate), da anni si utilizzano scenografie circolari (vedi ad esempio U2). Considerando che fu concepito alla fine anni degli anni ’70, ci si rende conto però di quanto fossero avanti all’epoca i Pink Floyd. A differenza di molti altri tour, la parte visiva (luci e filmati) è parte integrante dello show, mai fine a sé stessa.
Una menzione speciale per le parti vocali, rese al meglio da coristi decisamente all’altezza, come del resto tutta la band. Alla fine nessun bis, come nella prima edizione del 1979: tutto quello che c’era da dire è stato detto, inutile aggiungere altro (o forse era solo scomodo suonare in mezzo ai mattoni …).
(Stefano Baraga)