Perché recarsi a Parma in quel grande e bel santuario verdiano che è il Teatro Regio per andare a vedere e ascoltare il rossiniano “Barbiere di Siviglia”? In allestimento, per di più, di oltre dieci anni fa, curato dal buon Stefano Viezzoli (sempre puntuale ed elegante, ma anche rigorosamente tradizionale)? La messa in scena nata a Ferrara, ha già girato per mezza Italia (e non solo) – migliorando, è vero, di edizione in edizione. E ancora due dei ruoli principali – quelli di Almaviva (Dmitry Korchak) e di Rosina (Ketevan Kemoklidze) – sono affidati agli stessi cantanti che in settembre hanno svettato in un brillante, e modernissimo, allestimento low cost messo in scena al Teatro Massimo di Palermo?



La ragione c’è. Ed è una sola: la direzione musicale del 24enne Andrea Battistoni. Battistoni non è uno dei tanti allievi di Claudio Abbado e soprattutto di Riccardo Muti che sembrano monopolizzare i golfi mistici dei teatri d’opera italiani. Sarebbe errato dire che è un autodidatta il quale si è fatto da solo. Ha avuto maestri di tutto rispetto come  Zoltan Szabò e Mickael Flancksmann. E’ già noto ed apprezzato all’estero e ha un carnet di impegni in vari Paesi europei e in Giappone nei prossimi mesi. Viene, però, fuori dai circuiti abituali. Non sarebbe stato notato in Italia se lo scorso ottobre, il Festival Verdi non avesse scommesso su di lui affidandogli, ad appena 23 anni, una delle partiture più complesse del cigno di Busseto: “Attila”. Acclamato dal pubblico e dalla critica, è stato scritturato da La Scala per la direzione musicale, nel prossimo marzo, de “Le Nozze di Figaro” , una delle più complesse, e più sensuali, opere di Mozart.



Chi vuole saperne di più, guardi su Internet le recensioni apparse nell’ultimo anno e mezzo sulle maggiori testate straniere e italiane. Non è questa la sede per tessere le lodi di Battistoni, anche perché gli entusiasmi non sempre sono forieri di successi di lungo periodo. Il compito del vostro “chroniqueur” è di recensire un Barbiere di Siviglia che, visto e ascoltato il 15 aprile, la sera del 26 aprile andrà, in diretta da Parma, in alta definizione, su alcuni di principali canali televisivi dedicati alla musica classica e in 400 sale cinematografiche italiane e straniere.

La direzione musicale di Battistoni sfata una leggenda: quella secondo cui sino a La Donna del Lago nel 1819 , Rossini avesse dato poca importanza all’orchestrazione – lui sì era semi-autodidatta! –  e considerato l’orchestra principalmente un supporto all’azione e alle voci. Rossini aveva 24 anni quando, in pochi giorni, compose Il Barbiere – la stessa età di Battistoni che, visto da vicino, sembra un diciottenne. Rossini era un giovanotto con una vita amorosa complicata. L’orchestrazione del Barbiere diretto da Battistoni lo mette in luce sin dalla sinfonia, condotta dilatando i tempi per farvi percepire non solo le mille bolle scoppiettanti ma anche una forte carica erotico-sentimentale. Non per nulla la stessa partitura era stata utilizzata dal pesarese per due  opere molto “serie”, Aureliano in Palmira ed Elisabetta Regina d’Inghilterra.



La raffinatezza dell’orchestrazione (pur se con pochi strumenti, come era nelle disponibilità dei teatri romani nel 1816) si avverte non solo nel noto interludio del secondo atto (la tempesta) ma nella deliziosa scena tra Bartolo (Bruno Praticò) e Rosina nel primo atto, nel concertato alla fine del primo atto e – immaginate – nell’aria considerata “maledetta” per il tenore alla fine dell’opera – quella “Cessa di più resistere” che creata da Rossina una dozzina d’anni dopo il debutto del lavoro è scomparsa sino alla metà degli Anni Settanta quando Rockwell Blake insistette per “riaprirla”. Ora unicamente Florèz, Pirgu e pochi altri la cantano: dopo una terrificante serie di “Do” acuti, l’aria si tramuta in un rondò. In settembre a Palermo, l’atletico (anche vocalmente) Dmitry Korchak, non l’ha affrontata. A Parma, Battistoni (che presenta un Barbiere senza tagli, di una durata di tre ore ed un quarto, intervallo compreso) gliela fa cantare: il risultato è più che buono.

Altre notazioni di rilievo: nell’arco di pochi mesi è migliorata alla grande la dizione di Ketevan Kemoklidze, un contralto di coloratura da seguire nei prossimi anni. Di buon  livello, Luca Salsi (Figaro), Giovanni Furlanetto (Basilio) e Natalian Roman (Berta). Dell’allestimento si è detto: divertente ma tradizionale. In effetti, dei tanti tentativi di “svecchiare” il capolavoro rossiniano visti e ascoltati negli ultimi anni, quello del Teatro Massimo di Palermo nel settembre 2010 è stato uno dei più riusciti: imperniato su, Figaro come un lavoratore “precario” dai mille mestieri in un primo Ottocento come lo vedrebbe Mirò (scene essenziali e facilmente trasferibili in altri teatri, importantissimo il gioco di luci) ma come lo metterebbe in scena Almodovàr (quindi, piccante e pieno di sotto-intesi).  Il Teatro Regio di Parma avrebbe dovuto farci un pensierino.