Eseguire insieme, nel medesimo concerto due sinfonie di Gustav Mahler viene considerato un’impresa titanica: se la è posta Francesco La Vecchia, alla guida dell’Orchestra Sinfonica di Roma in concerto presentato nell’auditorium di Via della Conciliazioe. E’ utile ricordare che l’Orchestra Sinfonica di Roma è l’unico complesso sinfonico dell’Europa continentale interamente privato e che non riceve alcuna sovvenzione dallo Stato o da enti locali: i suoi 100 orchestrali operano da dieci anni grazie a un lungimirante contributo della Fondazione Roma ed al supporto degli abbonati. Questa stagione l’Orchestra Sinfonica di Roma presenta l’integrale di Mahler (in occasione dei 150 anni dalla nascita ed i 100 dalla morte del compositore) quasi in concorrenza con l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia che ha un programma mahleriano di pari spessore. Per dovere di cronaca , occorre informare i lettori che Francesco La Vecchia sta dirigendo l’integrale di Mahler anche a Budapest e a Seul.



Le due sinfonie scelte sono la “Quarta” che dura circa un‘ora e quel che è rimasto di quella che sarebbe dovuta essere la “Decima” (quasi mezz’ora). Le due sinfonie (la prima esecuzione della “Quarta” è avvenuta a Monaco nel 1901, la “Decima” è stata eseguita dopo la morte del compositore) sono collegate da un forte nesso di evoluzione non solo musicale ma anche religioso.



La “Quarta” è stata composta tra il 1898 ed 1900 , quasi a ridosso della clamorosa  conversione in pompa magna di Mahler, ebreo non credente, al cattolicesimo – una conversione ritenuta opportunista, fatta al solo fine di diventare direttore dell’Opera di Vienna ma che comunque comportava la frequentazione delle cerimonie religiose e anche i sacramenti. La “Decima” è l’ultimo grande tentativo, incompiuto, di un sinfonismo rivolto all’innovazione da parte di un cinquantenne, ammalato, tradito dalla moglie e cacciato da quella Opera di Vienna al cui ammodernamento aveva tanto lavorato. Quindi un percorso artistico e spirituale.



In ordine cronologico, la “Quarta” segue di pochi anni “Terza”. Concettualmente, però,  sono molti distanti. Grandiosa la prima (di una durata che, in mano a certe bacchette, sfiora le due ore), con notevoli interventi corali e vocali per sottolineare il risveglio di una natura verosimilmente boema se non da Foresta nera. Delicata la “Quarta”, in cui Mahler torna ai canonici quattro tempi sinfonici quali definiti da Haydn. Primaverile e piena della dolcezza dei boschi che circondano Vienna, come quello di Laxemburg. Nella delicatezza cela quasi il dramma del rapporto di Mahler con quella che era allora la capitale della duplice corona austro-ungarica. In breve , è per quella che potrebbe sembrare la meno spettacolare delle sinfonie di Mahler: un organico ridotto, senza tromboni o basso tuba, l’intervento della voce (ma solo un soprano) per introdurre la “Via Celestiale”. Nel primo movimento, si avvertono echi della linea melodica della sinfonia Jupiter di Mozart, ascoltata nella prima parte del concerto. Il secondo e il terzo movimento proseguono con accurata eleganza. Poi uno stacco e la “Vita Celeste”, con un giovane soprano spagnolo, Laura Alonso, perfetta nell’emissione anche se con un volume buono anche in una sala di circa 2000 posti. In breve una prova di grazia dalla Alonso e di raffinatezza da La Vecchia . Cosa di meglio per rievocare Vienna in questa fine di primavera? In clima idilliaco, la “Vita Celeste” induce a pensare che la spettacolare conversione e la frequentazione domenicale delle maggiori Chiese non fossero unicamente un gesto opportunista.

Della “Decima” , come è noto, è rimasto unicamente un frammento l’Adagio preceduto da un breve Andante. Sono anche rimasti numerose pagine di appunti in cinque fascicoli numerati corrispondenti ai cinque movimenti di quello che sarebbe dovuto essere, nelle intenzioni iniziali, una riflessione su morte e trasfigurazione. Mahler era ancora formalmente cattolico; ma “Morte” e “Trasfigurazione”, quindi, non vanno intesi in senso cristiano ma in quello panteistico della “Terza Sinfonia” a cui la “Decima” si allaccia per grandiosità di disegno nonché del “Canto della Terra” in cui il panteismo assume una forte connotazione Zen. Sono stati fatti tentativi di comporre, sulla base degli appunti, gli altri movimenti, il più noto è quello messo a punto da Deryk Coole tra il 1960 ed il 1976; tra i più recenti quello, presentato alla Sagra Musical Umbra nel 2001, elaborato da Nicola Samale e Giuseppe Mazzucca. Nessuno di questi sforzi restituisce ciò che Mahler aveva in mente. La sinfonia restò incompleta quanto le sua precarie condizioni di salute si aggravarono perché la bella e giovane moglie Alma (a cui voleva dedicarla) lo abbandonò a ragione di una relazione travolgente con Walter Gropius , allora astro nascente del design e dell’architettura contemporanea.

Saggia la decisione di Francesco La Vecchia di presentare unicamente l’Andante-Adagio come sta peraltro facendo Daniel Barenboim con l’Eastern Western Divan Orchestra nel tour mondiale che sarà a Milano il 17 maggio ed a Roma il giorno seguente.

Nell’attenta lettura di La Vecchia e del’Orchestra, nel breve Andante le viole espongono un tema di ritorna più volte , trasformato, combinandosi con due idee tematiche in modo da conferire al discorso musicale il suono delle acque che scorrono nel proprio alveo (nucleo centrale dell’Adagio). Dopo un paio di autocitazioni ed un corale di ottoni, un terrificante accordo dissonante scuota l’orchestra e lentamente si ritorna alle idee precedenti che si diffondono nell’aria. Non c’è più il sogno della “Vita Celeste” della “Quarta”. L’uomo Mahler rimane solo di fronte al nulla.