Bill Bruford, leggendario batterista inglese, ha pubblicato la sua biografia nella quale racconta la sua carriera. Un libro che esce dai soliti schemi delle biografie all’italiana regalando approfondimenti colti e di rara intelligenza. Un piccolo capolavoro in attesa del probabile tour di presentazione italiano previsto per il prossimo autunno.



“La passione ce l’ho ancora, non ho dubbi. La vera ricompensa sta nel guardare le cento,mille, le diecimila facce che ti sorridono alla fine di due ore di concerto, e nel ricevere il loro applauso con eleganza e compostezza. La ricompensa in denaro è il prodotto finale dell’eterna trattativa sul valore monetario della musica, ma in quel momento della serata, proprio allora e proprio lì, per pochi attimi, si stabilisce una relazione semplice e incorruttibile fra te e quel mare di visi sorridenti, fra l’intrattenitore e gli intrattenuti, fra chi si esibisce e chi ascolta, una relazione che non ha eguali”.
(Bill Bruford)



Pochi giorni fa un amico mi chiedeva via mail, prma dei saluti, se avevo letto il libro di Bill Bruford da lui definito un “piccolo capolavoro”. Ho subito provveduto a rintracciarlo in una pila di circa quindici volumi in arretrato (per chi scrive molto, è difficile leggere). Dopo le prime pagine sono stato preso e, in due giorni, l’ho letto tutto di un fiato.
“Bill Bruford – Autobiografia alla batteria – Yes, King Crimson, Earthworks e non solo” (Aereostella Editore) in effetti è un gran libro, scritto da un grandissimo musicista  ritenuto uno dei più grandi batteristi della storia rock e non solo. Nella mia formazione ideale Bill Bruford era, e rimane, il batterista.



Originale, curioso, sempre alla ricerca di nuove soluzioni ritmiche e strumentali (per anni è stato uno dei migliori alla batteria elettronica). Sin dagli inizi con gli Yes, si è contraddistinto per uno stile sempre originale e riconoscibile tra migliaia di batteristi. Il suo rullante e il suo approccio al tempo sono unici e, per questo, riconoscibili, come può essere riconoscibile la tromba di Miles Davis, la chitarra di Santana o di Wes Montgomery o la batteria di Jack de Johnette.

Una voce intelligente di un musicista che ha suonato (viene la pelle d’oca a ricordarlo) negli Yes (con a fianco Steve Howe, Chris Squire, Rick Wakeman) nei leggendari King Crimson (con Robert Fripp, James Muir, John Wetton, Toni Levin), Bruford (la formazione che portava il suo nome, composta insieme a due mostri interplanetari come Allan Holdsworth e Jeff Berlin) e poi i Genesis, gli Uk, i Gong, Anderson Bruford Wakeman Howe, per poi andare verso il jazz (suo amore sin da ragazzino) con la formazione degli EarthWorks.

Si rimane meravigliati nel trovarsi di fronte a un’opera come questa (ben 395 pagine tradotte con maestria da Barbara Bonadeo) dove si disserta con tanta intelligenza di musica. La penna di Bruford scorre fluida fra considerazioni sociali, culturali, parlando di rapporti con i  media, manager, fruizione della musica, rapporto pubblico e musicista. Gli interventi biografici sono pennellate da maestro che scolpiscono nel racconto i ritratti dei tanti grandi con i quali Bill Bruford ha suonato. Non aspettatevi  di sapere i particolari che fanno felice il fan  o su chi è il batterista più veloce del west. Qui tutto è calibrato in una giustezza che rasenta la perfezione, che insegna la musica, l’approccio ad essa, anche alcune particolarità tecniche, ma che alla fine fa intuire l’amore dell’artigiano per uno strumento, una passione che arriva al lettore in tutta la sua interezza.

Un lavoro che dovrebbe entrare nei libri di testo di tutte le scuole di musica piene di galletti pieni di sé, ipertecnici, il cui solo e unico obiettivo è quello di fare soldi. Leggere i sacrifici (tre ore a concerto per mettere a punto la batteria), le difficoltà che anche una grande come lui deve affrontare per trovare ingaggi adeguati per  tenere in vita una jazz band, lascia con l’amaro in bocca pensando alla testa piena di segatura di tanti novelli aspiranti star.

Bruford (William Scott Bruford, nato il 17 maggio 1949 a Sevenoaks, Kent, Inghilterra) ci fa percepire la grandezza del movimento musicale progressive, raccontando anche retroscena poco conosciuti.

Il finale con il quale si chiude l’ultima pagina  descrivendo  il ritorno a Heathrow dal suo ultimo concerto è a tratti  commovente. Oltre quaranta anni di carriera, tremila concerti, centinaia di cd, cinquanta tour in Nord America, esibizioni in ogni parte del mondo. Tutto questo, per scelta di Bill Bruford è terminato il 1 gennaio 2009 ad esclusione della attività in studio e di gestione della propria discografia.

“Sono stati quattro decenni entusiasmanti, adesso tocca a qualcun altro. Voglio dire grazie ai miei amici, ai colleghi, al pubblico che mi ha seguito più di quanto fosse lecito. La mia ambizione è sempre stata quella di provare a dare un contributo al drumming e alla musica, provare a immaginare un modo migliore di fare le cose oggi, con già in testa quello che si sarebbe potuto fare domani. Se sono riuscito, negli anni, a spostare il limite anche solo un po’ più in là, allora sono contento”.
(Bill Bruford)

L’augurio è che questo libro sia il primo di una serie con l’invito a Bill di trasmettere ai giovani il suo approccio, i sogni di una generazione che ha fatto grande la musica, quella musica nella quale anche grandi musicisti come lui non si riconoscono più.
Un libro da leggere per gli appassionati di genere, ma, soprattutto, per chi ama la musica e vuole percepire l’essenza della grandezza di Bill Bruford, grande musicista, Maestro della batteria.
Lunga Vita al Re!