“Romeo et Juliette” di Charles Gounod, dopo ben 77 anni di assenza, è stata riportata in scena al Teatro alla Scala di Milano. La più famosa storia d’amore di ogni tempo, nata dal genio letterario di William Shakespeare, è tornata a vivere ieri sera in un’applauditissima Prima, sotto la direzione di Yannick Nezet-Seguin e la regia di Bartlett Sher. Un allestimento che aveva debuttato a Salisburgo nel 2008 e che rimarrà in cartellone per sei repliche fino al 23 giugno.
Un’opera sulla giovinezza, si è scritto, interpretata da alcuni giovani promesse della lirica. Tutto vero: il direttore franco-canadese ha infatti 36 anni, il soprano georgiano Nino Machaidze (Giulietta) 28 e il tenore Vittorio Grigolo (Romeo) 34. Un fatto fuori dall’ordinario o un segno dei tempi? IlSussidiario.net, alla vigilia della Prima, ha raggiunto il tenore argentino Juan Francisco Gatell (Tebaldo) per parlare di giovinezza, arte, musica e non solo.



Maestro, lei è nato a La Plata nel 1978, ma questa è già la sua terza volta alla Scala.

È vero, troppo poco per farci l’abitudine però (ride ndr)… La vigilia di una Prima nel “Tempio della Lirica” regala emozioni uniche. I teatri sono tutti uguali all’apparenza, ma qui c’è qualcosa di inspiegabile nell’aria. Probabilmente è il sapore della storia. Quando si prova sembra di sentire i passi di Verdi e di tutti i grandi che sono passati su questo palcoscenico. 



Cosa si fa in un giorno come questo?

Ci si rilassa il più possibile, si ripensa a tutto il lavoro che è stato fatto. E questo dà molta fiducia.

Come ha inizio la storia che l’ha portata fino a qui?

Da una cassetta di Caruso. La passione per la lirica nella mia vita è nata da bambino. Devo ringraziare i miei genitori che mi hanno spinto a fare i passi giusti, uno alla volta, senza correre.

In che senso?

Ho aspettato che la voce si formasse prima di iniziare a studiare canto. Dai 9 anni ho lavorato per avere una formazione musicale completa studiando Pianoforte, Teoria e Armonia. Poi a 17 anni ho potuto iniziare a lavorare sul mio “strumento”. I maestri incontrati al Conservatorio a La Plata e, dal 2000, a Madrid sono stati eccellenti.



Il primo debutto?

Direi al Teatro dell’Opera di Roma nel 2005 nel ruolo del Conte Almaviva, ne “Il Barbiere di Siviglia”. 

I giovani vengono buttati nella mischia sempre più presto secondo lei?

Direi di sì, per questo è importante saper dire dei no. Per interpretare alcuni ruoli è necessario un certo tipo di sviluppo vocale e fisico.

E lei, ne ha dovuti dire?

A volte è giusto spiegare che magari non è ancora giunto il momento per “Rigoletto”, “Traviata” o “Trovatore”.
Detto questo, una nuova “primavera” della Lirica potrebbe comunque aiutare a riportare i giovani a Teatro. Non è vero che sia ostica e impegnativa. Si può godere di un’opera sia conoscendola a memoria, sia presentandosi in platea vergini di ogni ascolto.

La sua voce dove la sta portando per ora?

Si è sviluppata tardi e sta continuando a farlo. Per questo devo stargli dietro: farò quello che lei mi dirà di fare, non la costringerò a fare ciò che voglio io.
Per ora posso tranquillamente rimanere sul repertorio del ‘700: Mozart, Bellini, Donizetti, Rossini… Non ho nessuna fretta di cambiare, anche perché è ciò che mi piace di più. Vedremo, magari un giorno potrò fare anche “Faust”.

I suoi riferimenti?

Innumerevoli, sapendo che da tutti i grandi c’è qualcosa da imparare: Luis Alva, Pavarotti, Alfredo Kraus, Domingo, Carreras, Beniamino Gigli, Aureliano Pertile… Solo per fare alcuni nomi. 

Quale ruolo ha amato di più?

Non saprei scegliere tra Tamino (Il flauto magico) e Nemorino (L’elisir d’amore).

 

Una furtiva lagrima – L’Elisir d’Amore


Come si entra nei panni di personaggi come questi?

Dipende, se la storia è tratta dal teatro, cerco il testo originale, anche perché il libretto d’opera è necessariamente ridotto all’essenziale. Provo a ricostruire i tratti del personaggio, i suoi rapporti con gli altri, le sue ragioni.
Lo stesso lavoro lo si può fare con il compositore, individuando i nessi con le altre opere, cercando di capire attraverso la musica come è stato pensato il personaggio. Si studia moltissimo anche senza cantare…

In che senso “le sue ragioni”?

In scena in questi giorni sono Tebaldo, il cattivo, si potrebbe dire, della storia. Ha però le sue ragioni e di queste è convintissimo. Lui vuole soltanto difendere la sua famiglia, ciò che di più sacro ha al mondo. Nella lettura che ne ha dato il regista l’omicidio avviene addirittura per caso, all’interno di un duello in cui i due contendenti vogliono soltanto sfregiarsi, umiliarsi a vicenda… D’altra parte è un’opera sull’amore, ma anche sull’odio e mostra fino a dove questo può condurre l’uomo.

 

Atto III – Romeo et Juliette – Charles Gounod

Altre peculiarità della regia di Bartlett Sher?

La storia non è ambientata nella sua epoca originale, ma in quella di Gounod e in questo modo ne guadagna in romanticismo.
La lotta ha poi una grande importanza. Le scene di combattimento sono a dir poco spettacolari e per realizzarle tutti i cantanti hanno fatto un grandissimo lavoro di addestramento, durato dei mesi.

Dove emerge maggiormente invece l’impronta del direttore, Yannick Nezet-Seguin?

Lui sa curare ogni aspetto dell’opera dialogando con tutti. Partecipa nel dialogo con la regia e con i singoli cantanti nella formazione dei personaggi, riuscendo così a realizzare un’unica costruzione che tiene dentro tutto.
Ogni volta dal podio regala a tutti grande tranquillità e, quando si chiude il sipario, una grande gioia per la bellissima riuscita.

Quando si chiuderà il sipario scaligero dovrà prepararsi al Festival Rossini di Pesaro e al Sferisterio Opera Festival di Macerata. Altri sogni nel cassetto o li ha già realizzati tutti?

Beh, cantare Rossini nella sua città è davvero un sogno, anche se ne ho anche un altro da realizzare. Vorrei tornare nell’enorme sala di un Teatro che vidi all’età di 4 anni: il Teatro Colón di Buenos Aires, uno dei palcoscenici più importanti al mondo. Un punto di arrivo per tutti i cantanti, figuriamoci per me che manco dalla mia Argentina da ormai 11 anni…