Aix-en-Provence e Salisburgo sono i festival estivi dove meglio si toccano con mano le tendenze del teatro lirico. Si tengono rispettivamente in luglio e agosto, propongono regie moderne (spesso attualizzando al giorno d’oggi vicende ambientate da librettisti e compositori in tempi lontani), utilizzando abilmente il sistema delle coproduzioni e attirando artisti di rango. C’è una differenza sostanziale tra Aix e Salisburgo (di cui parleremo nella seconda metà di agosto); mentre i lavori presentati in luglio nella capitale della Provenza già in settembre circolano in vari teatri, a Salisburgo vale la regola in base alla quale solo due anni dopo la prima rappresentazione della produzione, lo spettacolo può essere “ceduto”, di solito a nolo, al di fuori del ristretto numero di chi lo ha prodotto. Ad esempio, soltanto il prossimo ottobre vedremo alla Scala un “Der Rosenkavalier” allestito a Salisburgo nell’estate 2005.



Soffermiamoci sugli aspetti musicali del Festival di Aix 2011 tenendo presente che molti lettori potranno apprezzare quelli drammaturgici se e quando lo spettacolo si potrà vedere su canali specializzati come “RAI5” o “Classica”. Il vostro critico ha visto 4 delle 6 opere in programma tra il 5 e il 25 luglio.



Una prima notazione. Il Festival nasce con una vocazione “mozartiana”, poco rappresentato Oltralpe sino alla seconda metà del Novecento ed è quasi sempre inaugurato da un nuovo allestimento di una delle 22 opere  del salisburghese. Quest’anno l’inaugurazione è stata affidata alla Prima mondiale di un’opera del milanese Oscar Bianchi (35 anni), poco noto, forse, in Italia ma molto applaudito all’estero. Bianchi, che ha studiato al Conservatorio Verdi di Milano prima di completare la propria formazione all’IRCAM di Parigi e alla Columbia University è alla sua prima opera per il teatro.



“Thanks to My Eyes” tratta di una pièce di Joël Pommerat che ha avuto notevole successo in Francia nella metà del decennio scorso è doppiamente un’opera prima: una prima composizione per il teatro in musica e la consacrazione a uno dei maggiori festival internazionali.
Il lavoro di Bianchi non si fermerà a Aix; in marzo 2012 sarà in due teatri della regione parigina, in aprile alla Monnaie di Bruxelles, in maggio a Lisbona e in giugno a Madrid. Si parla già di una possibile trasferta negli Stati Uniti.

Basata su un dramma simbolista e impressionista riguardante i rapporti tra un padre-padrone e suo figlio. La scrittura orchestrale e vocale di Bianchi, pur mantenendo alcune convenzioni dell’opera tradizionale (ci sono, ad esempio, due duetti, alcuni ariosi e pure una “scena della pazzia”) è ricchissima: molto timbrica quella orchestrale (12 strumenti) ma al tempo stesso intrisa di melanconia. Le voci seguono le convenzioni: il padre  è un basso (Brian Bannatyne-Scott), le due donne (Karen Motseri e Fflur Wyn) due soprano lirici (una con agilità e coloratura), ma per Aymar Bianch scava nella vocalità seicentesca e porta un controtenore in grado sia di ascendere a tonalità altissime sia a giungere a toni baritonali. Non manca uno spiffero di elettroacustica per dilatare alcuni momenti. “Le Monde” ha dedicato una pagina a questo lavoro parlando di “ritratto magistrale delle melanconia” della società di oggi.

Molto atteso il nuovo allestimento di “La Traviata”, che dopo una tournée in Francia, entrerà in repertorio alla Staatsoper di Vienna. In buca, la London Symphony Orchestra (per quattro “in residenza” al Festival) diretta da Louis Langrée (una delle migliori bacchette del momento). Tra le voci, Nathalie Dessay (nota principalmente come soprano di coloratura, ma reduce da due operazioni alle corde vocali), Charles Castronovo (giovane tenore americano di recente protagonista del mozartiano “Ratto dal Serraglio” a Roma) e Ludovic Tézier (da decenni il principe dei baritoni francesi). Langrée legge “La Traviata” come una struggente preparazione a una morte in giovane età: dilata, quindi, i tempi e scava nei dettagli orchestrali , con l’accortezza di non coprire mai le voci. Differenti e divergenti i punti di vista sulla Dessay: grandissima interprete drammatica smussa quegli aspetti di “coloratura” e di agilità che più piacciono al pubblico –  dimenticando che il “superacuto” al termine di Sempre Libera è frutto “di tradizione” di soprano virtuosisti non della partitura verdiana. Ottimo vocalmente il prestante Castronovo. Sempre un piacere ascoltare Tézier anche se non ha più il “legato” di un tempo.

Con “La Clemenza di Tito” (terza , in ordine di presentazione, delle 6 opere in programma) arriva un Mozart sontuoso con un lavoro che è un vero inno alla tolleranza. La London Symphony Orchestra diretta dall’83nne Sir Colin Davis dà il meglio di sé (magnifici gli interventi del clarinetto). Gregory Kunde è un Tito diseguale; due grandi interpreti sono Carmen Giannattasio (Vitellia), specialmente nella grande aria Non più fiori e Sarah Connolli (Sesto) con un Parto, Parto ma tu Ben Mio da antologia, nonché la giovanissima Anna Stephany (Annio), di cui si riparlerà a lungo.

Veniamo, infine, a “Il Naso” di Šostakovic, co-prodotto con il Metropolitan di New York e l’Opera Nazionale di Lione. L’attenzione è puntata sull’impianto scenico e registico di William Kentridge (di cui di è vista questa stagione la produzione de “Il Flauto Magico”). Il gioco scoppiettante di gag futuriste e dadaiste contro l’arroganza del potere burocratico non sarebbe tale senza la magistrale bacchetta di Kazushi Onu alla guida dell’orchestra dell’Opera di Lione ed una dozzina di affiatati solisti russi maestri di questo tipo di teatro in musica. Arriverà, prima o poi, alla Scala.