Dal pubblico affezionato degli Zen Circus ad alcuni tratti leggeri di “Sicilitudine”; dai progetti futuri della band all’affettuosa descrizione dei suoi compagni; dalla scena rock italiana ai mali di certa “italianità”; da Piero Ciampi a Pasolini passando per Moravia, fino al suo liberatorio solo-show:si conclude lo speciale/intervista col frontman di uno dei gruppi di punta del rock indipendente italiano. A cura di Giuseppe Ciotta.
…L’esigenza alla base delle ristampe dei primi album degli Zen Circus?
Le ristampe sono state fatte apposta per andar dietro al pubblico che, crescendo esponenzialmente dopo Andate tutti affanculo, non conosceva le nostre prime produzioni. Non c’è più una data degli Zen con meno di 500 persone che cantano, con molti giovanissimi tra i 18 e i 20 anni. Forse l’ultima che non è andata bene è stata proprio qui a Catania, circa un anno fa: pioveva a dirotto, quella sera, e si presentarono in pochi. Poi ho saputo che, addirittura, molti di quelli che avevano acquistato i biglietti in prevendita non si erano recati ai Mercati Generali a causa della pioggia! Questa è una cosa clamorosa della Sicilia: quando diluvia, non si esce di casa! Figurati a Belluno! (risate, nda)
Un po’ come i messicani…
Sì, ma sai cosa ti dico? A me va anche bene. Chiedevamo spiegazioni lì al locale e ci dicevano “Eh, diluvia…” e ci siam rimasti male, soprattutto perché – l’indomani a Palermo – il club era pienissimo e ci fu il delirio. È stato come un segnale: proprio da quei giorni lì è iniziata l’ascesa degli Zen, che troverà la quadratura del cerchio nel prossimo album in italiano e anche nei progetti futuri, che sono davvero una follia, in un certo senso…
Ce li illustri?
Il doppio degli Zen Circus…
Allora mi aspetto una roba tipo Zen Arcade degli Husker Du (doppio capolavoro della band post-punk americana anni ’80, che ha influenzato l’indie rock successivo, nda)!
Eh! Sarebbe fantastico! L’idea è di prendere un “camperone” e di registrarlo on the road: portarsi dietro lo studio mobile e girare l’Italia e non solo, “raccattare” i musicisti per strada e recarsi a casa degli ospiti coinvolti nel lavoro, andare direttamente nei posti e girare un “documentarietto” per riprendere questa follia qua. Ho fatto i conti e, coi soldi che ti danno per fare un disco, te lo ripaghi tranquillamente. Anche perché non è mai stato fatto un disco itinerante qui.
Il tempo scorre e Andrea guarda preoccupato il cellulare: abbiamo abbondantemente sforato, ma – per fortuna – dal club in cui suonerà stasera a Catania, “La Chiave”, nessuno lo ha ancora reclamato per il soundcheck. Ringraziandoti per questo lungo scorcio di giornata dedicato a IlSussidiario.net, una domanda sui tuoi compagni negli Zen Circus: sul palco e fuori avete quest’alchimia particolare. Un paio d’aggettivi per descriverceli…
Ufo (storico bassista degli Zen Circus, dall’eloquio coinvolgente, nda) mi ha insegnato tanto: è un maestro di vita. Non si direbbe, ma lo è. Primo, è il più grande di tutti: tra lui e Karim (batterista, nda) passano dieci anni; sei fra me e lui che – da piccoli, quando lui suonava nel 1989 e faceva garage (sorta di proto-rock n’ roll più sporco nei suoni e sghembo nei ritmi, antesignano del punk, nda) – ha fatto da ponte, musicalmente, fra la sua e la nostra generazione: io giocavo a Subbuteo, nel 1989, pensa un po’! Mi ha insegnato tanto, Ufo, anche umanamente: è una persona curiosissima, studiosa, collezionista… Cose che io non sono assolutamente: curioso sì, ma il resto proprio no! (risa, nda) Inoltre, mi ha insegnato a mangiare. Prima dell’ingresso di Ufo nella mia vita, per me il cibo erano la patatina fritta e la bistecchina, non me ne fregava niente: nutrimento e basta. Lui – invece – è un cuoco, ne fa mille: lavora anche gli alberi, è capacissimo a tenere un orto, è fissato con queste cose. Quando non suoniamo, io vado in giro da solo come stasera, lui va in campagna: raccoglie le olive, prepara l’olio…
Un “punk della terra”…
Sì. O “punk rurale”, come si autodefinisce lui! Mi ha contagiato: adesso – quando vado in giro – voglio provare le specialità dei luoghi, assaggiarne le cose buone… Sembra una cavolata, ma se non fai così, col cavolo che sopravvivi a dieci anni di tour! (risa, nda) Io facevo parte della categoria: “Non sono capace di fare niente, a parte suonare la chitarra, cantare, scrivere le canzoni e guidare il furgone”. Lui me lo dice sempre: “Appino, sei bravo a fare queste cose qua, non fare altro, perché non sei in grado!”. (ancora risate, nda) Ma lui m’ha insegnato un sacco d’altre cose…
Karim…
È il nostro principe del male! (ripartono le risate, nda) Ti dico solo: ha tatuati sul corpo i titoli di alcune canzoni-manifesto di Ramones e Stooges (il vero punk basilare americano, nda). Aggiungi Frank Zappa e avrai il quadro di questo pazzo scatenato! Ma poi, in realtà, è buono come il pane… Sardo, anzi, sardissimo nel suo esser tale. Quindi, è molto diverso da me e Ufo: siam proprio diversissimi. E poi, caspita, è un batterista straordinario!
Una vera locomotiva…
Esatto: con quei tre pezzi di batteria che c’ha (Karim usa un set di tamburi ridotto all’osso, differente da quello standard, nda), smuove talmente tanta aria che trovarne un altro… In realtà quel set l’hanno inventato i Violent Femmes (folk-punk americano, nda) o anche altri. Poi, ha un rapporto con la batteria che non riusciamo ancora a capire: a livello ritmico, è proprio un folle. In realtà – nei dischi – spesso usiamo anche la batteria intera, completa, ma in tour lui fa quel che gli pare, col suo strumento. A volte, in una tournèe di 100 date, giunti alla 51^ salgo sul palco e scopro che Karim ha un aggeggio in più o uno in meno della volta precedente. Magari mi volto e scorgo che sta pestando col martello un nuovo accessorio da inserire nel suo set… Insomma, a lui non ci devi proprio pensare: sai che è lì e che farà come gli pare! (risa, nda)
È bello quando, in una band, c’è tanta fiducia da non preoccuparsi vicendevolmente di quello che farà l’altro…
Infatti. Ad esempio, ieri ero a Siracusa, ho preso l’aereo qui a Catania, sono arrivato alle nove a Torino, ho cenato, son svenuto in camerino e poi m’han chiamato: “Andiamo a suonare!”. Son salito su e – grazie anche alla crew (tecnici e staff che s’occupano del gruppo, nda), che per fortuna abbiamo – tutto è filato liscio.
Una domanda che ho fatto anche ai Criminal Jokers: l’Arca di Noè di quel che ti pare. Chi porti su e chi lasci giù…
Della musica no. In realtà potrei, ne avrei da dire e non ho peli sulla lingua, l’ho dimostrato, ma sarebbe molto “italiano” farlo e – quindi – eviterei… Per esempio, riportando il tutto al lavoro: se io sono un elettricista a Pisa e ci son altri cento elettricisti, la cosa tipica di ogni mestiere è che ci son quelli che ti stanno simpatici e quelli che ti stanno antipatici, quindi c’è quello che parla male dell’altro e l’altro di quell’altro, in un circolo vizioso infinito…
Quadretto familiare…
Sì, ma non stupirti: è così in tutta la scena musicale italiana. Però – come ci dicevamo prima – bisogna allontanarsi il più possibile da questa cosa qui, senza esser per forza nazionalpopolari o buonisti. Una su mille, ad esempio: Jovanotti a me non piace, ha chiamato i Tre Allegri ragazzi Morti e poi Vasco Brondi (Le Luci della Centrale Elettrica, nda) è andato ad aprirgli i concerti. Ecco, io a Vasco gli voglio un bene dell’anima, ma – secondo me – ha sbagliato. Voglio mantenere questa schiettezza, senza – però – giudicare il cammino personale di alcuno: c’è spazio per tutti, che ognuno faccia ciò che vuole, che poi – secondo me – è il tempo che, alla lunga, darà le risposte. La prima cosa che io e Ufo ci siamo ripromessi – formando il gruppo – era che durasse, a prescindere da quanto sarebbe riuscito a raccogliere, tanto che oggi siam quasi preoccupati di quanto stiamo raccogliendo! Vogliamo continuare a seminare e vedere i Criminal Jokers, i gruppi nuovi, che cominciano a far robe che spaccano. Non m’importa nulla se, di punto in bianco, torniamo a non vendere più dischi: quel periodo lì l’abbiamo superato e vogliamo solo andare avanti. Pensa a Piero Ciampi (cantautore assolutamente da riscoprire, nda), che è il mio amico immaginario (cui Andrea dedicherà il concerto, rivolgendosi a lui “immaginificamente” in un dialogo da seduta analitica, come lui stesso la presenterà al pubblico, nda), e alla sua storia… Torno alla tua domanda. Vorrei sull’Arca le persone curiose, non per forza intelligenti, “acculturate” o civili, né solo di sinistra, né solo di destra: non me ne importa proprio nulla. Se sei curioso, puoi non saper distinguere fra Checco Zalone e i Pink Floyd, però se c’è quel seme di curiosità, basta la convivenza con le persone per assimilare. Purtroppo, ci insegnano a non esserlo, curiosi: quanti ne ho conosciuti… Io viaggio, parlo, faccio incontri, vado nei “peggio bar” a parlare con tutti i tipi di gente. Finché c’è quello schiocco di curiosità, io riesco a confrontarmi con tutti e tutto, anche con la cattiveria, ma se quella si è spenta – ed è ciò che il sistema negli ultimi tempi sta causando – allora è finita. Se n’era accorto prima di tutti Pasolini, che riconosceva nell’Italia vera, rurale, ancora un barlume di quella curiosità che tutto rende possibile o sopportabile. Ora le candele stanno cominciando a spegnersi.
Mi hai fatto pensare al discorso al vetriolo, assolutamente condivisibile, che Moravia fece per Pasolini al suo funerale…
Sì, sì, il concetto è quello: si stringe qualcosa. E di fronte a scenari di questo tipo, purtroppo, gente come me e te non so cosa possa fare di più. Di fronte a quei tumori sociali, a quei cancri dell’anima… Mi reputo filosoficamente di sinistra, anche se rimprovero gli estremismi, tipo quelli di certi anarchici per cui – da ragazzo – simpatizzavo: al contrario di loro, io credo fermamente in una convivenza civile regolamentata, senza alcun tipo di nichilismo. Invece, purtroppo, alcuni si preoccupano – in modo miope – più dei diritti degli animali, che di quelli degli esseri umani. Son d’accordissimo con l’ambientalismo, ma non con quello estremizzato. La storia del nostro Paese racconta che ce li abbiamo avuti gli esempi virtuosi di convivenza politica e sociale: se vai a parlare coi vecchietti di Carrara – che han fatto la Resistenza – dopo aver sentito i loro discorsi, li insigniresti del Nobel per la Pace. Oggi regna l’individualismo, spacciato per libertà di autorealizzazione: se vincerà quella roba lì, né io, né te, né nessun poeta potrà mai impedire alle classi dirigenti di rimanere assoggettate a quel disegno lì. Io ho la fortuna di girare con gli Zen e di vedere una parte sana della faccia del Paese: già il fatto stesso di seguirci…
È una grossa “scelta di campo”…
Esatto! Non posso, quindi, parlar troppo, ma – se, ad esempio, avessimo il seguito di Vasco Rossi – potremmo far passare più facilmente un certo messaggio di apertura. Certo, per il conseguente ritorno di massa poi ci sbranerebbero e ci griderebbero “Venduti!”, ma è giusto e naturale così: i maestri devono essere “mangiati” dai discepoli.
A questo punto lasciamo la gelateria, attraversiamo Piazza Teatro Massimo V. Bellini – pullulante di bambini coi genitori, cani al guinzaglio e non, coppiette che si sbaciucchiano sulle panchine di marmo e ragazzi che giocano a frisbee – e, complice una sempre più rara brezza primaverile, il momento sembra il corollario ideale alle parole di Appino, che ancora mi frullano in testa. Entriamo nel locale e ci accoglie Paolo Mei, musicista e responsabile di “Rocketta Booking”, che da anni riesce a portare – con merito e riscontri – artisti interessanti in giro per la Sicilia. I piccoli problemi tecnici del soundcheck vengono risolti realmente in modo punk, come piantare dei chiodi sul palco di legno per bloccare il charleston (piatto della batteria, nda) di Appino, che – nel frattempo – si riscalda con la chitarra in giro per la sala, passando dai pezzi degli Zen a “Off He Goes” dei Pearl Jam. Il concerto di Andrea viene aperto dai siracusani Froben, con un set acustico che valorizza le trame tenui del loro indie-pop. Durante il cambio-palco si assiste alla “première” del video di “Oggi come va”, canzone estratta dall’ep di Paolo Mei & Il Circo d’Ombre (presto su queste pagine, nda): pop nobile, impreziosito da un refrain contagioso e da un originale crescendo finale dominato dai fiati, a sostenere le parole e il tono confidenziali – ma mai dimessi – del singer. Una pellicola dalla grana accattivante e dai colori vividi – sugli scudi la fotografia di Gianluca Santonocito – ci conduce nei meandri d’un quadretto retrò, pullulato da mostri a metà strada fra il cult-movie di John Landis “Un Lupo Mannaro Americano a Londra” e il mitico cartoon “Carletto il Principe dei Mostri”.
Il frontman Paolo Mei è perfetto nel ruolo del Dracula decadente e il resto degli attori non sono da meno, donando al video immediatezza espressiva e persino un gusto realistico di cara tradizione italiana – merito anche della regia di Salvatore Nicolosi – forse impensabile in un clip più o meno horror in senso goliardico, che omaggia – come location – luoghi evocativi di Paternò (CT) e gli stessi meandri del club “La Chiave”. Appino arriva sul palco che il locale è già pieno: si introduce facendo il verso ai menestrelli medievali e attacca subito coi pezzi degli Zen. Ogni canzone in italiano è cantata all’unisono dal pubblico, contagiato dalla semplicità e dalla simpatica strafottenza del cantante, sempre pronto – comunque – all’interazione col proprio pubblico. Quando recupera alcuni vecchi pezzi in inglese dai primissimi lavori del gruppo, molti giovani fan dell’ultim’ora rimango basiti, ma è il prezzo da pagare alla notorietà dovuta agli inni in italiano che hanno caratterizzato l’esplosione degli Zen Circus. Andrea si rivolge con sincerità e urgenza espressiva sia agli astanti che al fantasma di Piero Ciampi, intervallando i brani con storielle mai banali e proponendo anche un inedito – entusiasmante – che troverà posto sul prossimo degli Zen, in uscita a ottobre. Dopo circa un’ora intensissima, Andrea saluta, ma il pubblico lo reclama: allora, con la chitarra acustica ormai staccata dall’impianto, si siede a bordo palco e intona coi fan un altro paio di brani. La serata è stata un successo, una domenica che premia “La Chiave” e quella parte della città di Catania – coi suoi protagonisti – che sostiene convinta la musica indipendente.