Balzac era ateo: scrisse, però, che il Meursault (il Re dei vini bianchi di Borgogna) va bevuto in ginocchio come prova che Dio c’è. Analogamente, Theodor Adorno, guida della “scuola di Francoforte”, poco aveva a che spartire con il nazionalismo tedesco. Ha scritto, tuttavia che “Die Meistersinger von Nurnberg” (“I Maestri Cantori di Norimberga”) di Richard Wagner è la più alta, più completa e più piena espressione del genio dell’Occidente. Il vostro “chroniqueur” condivide l’affermazione di Adorno; inoltre, “Die Meistersinger” è (con le mozartiane “Nozze di Figaro” e poche altre) una di quelle opere al termine delle cui esecuzione (se di livello) vorrebbe veder ri-iniziare, dopo mezz’ora di pausa per badare alle esigenze primarie del sopravvivere.



Pur se la partitura di “Die Meistersinger” (escludendo gli intervalli) dura dalle 4 ore e 25 alle 4 ore e 50 minuti (a seconda del piglio dei concertatori). Per ascoltarla si è recato sino al Festival del Tirolo, in quel di Erl (un villaggio di 1450 abitanti) dove, trasformando in teatro d’opera e sala da concerto una struttura creata per rappresentarvi (ogni sette anni) la Sacra Rappresentazione della Passione, quel diavolo di Gustav Kuhn ha creato una della manifestazioni più interessanti dell’estate.



Quando nel lontano 1978 conobbi Kuhn (allora trentenne) a Bologna, dove concertava un ottimo “Parsifal”, veniva considerato l’erede di von Karajan. Da buon salisburghese, non si è mai assoggettato al rigore prussiano. La sua carriera è stata in gran misura italiana dove è stato direttore artistico a Roma, Napoli e alla Sferisterio, ha diretto nei maggiori teatri, ha creato l’orchestra Haydn di Trento e Bolzano e l’Accademia di Montegral e vive in Garfagnana in un Convento dei Padri Passionisti affittato a vita. Tra le sua creazioni anche il Festival del Tirolo che quest’anno si estende dal 7 al 31 luglio e presenta, oltre a concerti sinfonici e cameristici, “I Maestri Cantori” (su cui mi soffermo), “Thannauser” e “Parsifal” “I Maesti Cantori” è capolavoro sommo – l’opera-da-salvare se dopo un cataclisma se ne potesse conservare una sola.



Necessario fare almeno un cenno alle ragioni che portarono al commento di Adorno. Pur se storicizzata nella società tedesca alla fine del XVI secolo, “Die Meistersinger” è una grande commedia umana con valenza a-storica, ma profondamente occidentale: esalta la tolleranza, l’amore in tutte le sue guise, la lealtà intergenerazionale, la sacralità dell’arte e del pensiero e la continuità dei valori in un periodo di cambiamento. C’è anche un forte senso religioso, da “do” iniziale dell’ouverture (quasi il rintocco di una campana) ai riferimenti alla Provvidenza da parte del protagonista (il poeta-ciabattino Hans Sachs).

Nelle circa 6 ore di spettacolo (intervalli compresi), si ride e ci si commuove (se si comprende il tedesco o si ha l’ausilio dei sovrattitolio) e si è trascinati da un flusso continuo diatonico, dove domina il contrappunto e ha un ruolo determinante la polifonia. La sua messa in scena presenta enormi difficoltà per la regia, per l’orchestra, per le voci. In Italia, si conta una novantina di edizioni dalla metà dell’Ottocento ad oggi, ma da un quarto di secolo viene eseguita saltuariamente. E’ ancor più raro che venga eseguita bene.

Il vostro “chroniqueur” ricorda edizioni eccellenti a Firenze nel 1986 e a Trieste nel 1992, buone a Milano nel 1990, a Spoleto nel 1992 e a Torino nel 1997, nonché di nuovo a Firenze nel 2004. Ma anche alcune del tutto inadeguate a Roma e a Genova (nonché un paio addirittura rimosse dalla memoria). Ne ho visto ed ascoltato ottime a Berlino, Francoforte, New York e Tolosa. L’edizione al Festival del Tirolo ha debuttato tre anni fa ed è stata da allora affinata.

Kuhn firma scene, costumi e luci, oltre a concertare l’opera seguendo fedelmente le istruzioni di scena scritte da Wagner nel 1868. Nei costumi, si alternano abbigliamento contemporaneo (nelle scene “private”) e rinascimentale (in quelle “pubbliche”- un modo un po’ didascalico per sottolineare, al tempo stesso, il contesto storico e il significato atemporale universale del lavoro. Nell’ultima scena, tutti si tolgono i costumi seicenteschi per restare in quelli contemporanei – i valori universali prevalgono sul contesto storico. L’impianto scenico è una pedana che con poca attrezzeria, di volta in volta, diventa la Cattedrale di Santa Caterina, le strade di Norimberga, lo studio di Sachs, la radura dove si svolge la gara. Curata l’azione scenica anche in quanto rodata.

Vigorosa e animata l’esecuzione di Kuhn: accenta la polifonia e dilata gli abbandoni degli archi nelle scene d’amore ed in quella della “rinunzia”. Oskar Hillebrandt è un Sachs espressivo, Franz Hawkata un Pogner possente, Martin Kronthaler, un Beckmesser dal fraseggio scolpito e variegato, Arpiné Rahdjan una Eva ma piena di dolcezza e di astuzia. Walter ha la vocalità lucente possente e appassionata e il fisico giovane di Michael Baba. Perfettamente nel ruolo Andreas Schager (un David dal timbro lucente) e Hermine Haselböck (Magdalene) e gli altri, troppo numerosi per citarli.

I bambini del villaggio interpretano il corteo delle corporazioni – un modo originale per far sentire che l’opera è di tutti. Si è entrati a teatro alle 16,45. Alle 22,15 è scattata una vera e propria ovazione da stadio che ha rotto il silenzio delle valli tra Tirolo e Baviera. Dopo due giorni di pioggia quasi interrotta, uscendo, la sera del 15 luglio, c’era la luna piena attorniata da stelle – quasi che anche il cielo volesse fare omaggio a questo sommo capolavoro della cultura e società dell’Occidente. Adorno aveva ragione. Quanto meno a proposito di “Die Meistersinger”.