Estate è anche tempo di ricerche, di nuovi incontri, di scoperte. Si mette la chiave nell’accensione e si va. E perché dunque non provare ad incontrare delle novità assolute anche in musica? Ecco una cinquina di titoli decisamente di nicchia: personaggi che per un motivo o per l’altro non sono molto “pubblicizzati”. Cinque dischi che potrebbero ripagare la curiosità di chi si sente esploratore.



Gillian Welch –  The Harrow and the Harvest

Uno dei più bei dischi del 2011, puro e bellissimo, con cui affrontare con serenità e dolcezza l’avanzare dell’estate, la brezza che soffia tra i pini, il caldo da cui ci si ripara all’ombra, magari con una birra ghiacciata. Relax, riverberi, mondi acustici dolcissimi nel discorso di questa cantautrice newyorkese trapiantata a Nashville. Lei si fa sempre accompagnare dalla chitarra di Dave Rawlings, e questa volta asciuga ogni suono, ogni melodia. Echi di Dylaned Emmilou Harris, voce, chitarre, qualche banjo (Hard Times), nessuna percussione, per un disco di antico country-folk. Rawlings (ha suonato con Ryan Adams) ha un tocco raffinatissimo sulle corde; la voce di Gillian è placida e versatile, mentre il sound complessivo è sempre puro ed etereo, ogni tanto tendente al jerrygarcia-sound (Tennessee). Sono certo che chi lo ascolta saprà farsi cullare a lungo, senza stancarsi.



Explosion in The Sky – Take Care, Take Care, Take Care

Una delle migliori avant-garde band del nostro presente: tante chitarre che pensano suoni come mini-sinfonie, nella più pura tradizione della psichedelica. I quattro musicisti in questione non cantano, visto che le parole non aggiungerebbero molto a queste visioni oscillanti di sentimenti e panorami, raccontati sempre senza eccessi, con un suono che spazia dai Fugazi ai Cure. Brani sempre lunghi, dagli otto minuti di Last Known Surroundings ai dieci di Let Me Back In. Il suono complessivo è sempre poeticamente armonico, senza mai un’aggressione: al loro sesto disco gli Explosion forse hanno trovato l’equilibrio cercato in dieci anni di incisioni.



Preservation Hall Jazz Band & Del McCoury Band- American Legacy

Chi adora l’antico suono Americano, quello che si intreccia tra New Orleans e il bluegrass, ha qui uno dei suoi best: il più celebre combo della Crescent city e una delle band leggendarie del North Carolina, tredici elementi per una miscela felice di storia e contemporaneità made in Usa. Delano McCoury è un nome da leggenda, un ragazzino che va verso gli ottantenni e che ha suonato con Bill Monroe. La Preservation jazz band è la house band di uno degli storici luoghi di New Orleans. Insieme, tra banjo e tromboni, ci propongono brani tradizionali (Jambalaya, One More ‘for I Die) e nuovi titoli (A Good Gal) in un misto di marching band, Gran Ol’ Opry e spruzzate cajun. Una canzone su tutte: il blues di I’ll Fly Away.

 

My Morning Jacket – Circuital

Sconosciuta in Europa, la band di Jim James rimane una delle migliori formazioni emerse dalle praterie americane. Quintetto quadratissimo, i My Morning Jacket hanno buona capacità di scrittura e la converte a ispirazioni che stanno a mezza via tra Grateful Dead e Pink Floyd. L’intro del disco, Victory Dance, ha la ripetitività apocalittica di A Day in the Life, mentre Slow Slow Tune pare un pezzo di Otis Redding suonato dai Drive by Truckers. Sconosciuti per le classifiche, ma li adoro profondamente. Basterebbe ascoltarsi lo scherzo funky-rock di Holding On to Black Metal, con tanto di coretti e finti ottoni, per applaudirli. Dal vivo, poi, fan parte del salotto buono delle jamming band.

 

Karen Souza – Essentials

Un disco che potrebbe anche dare un fastidio tremendo: Karen è il prototipo della cantante bellissima e fascinosa, sulla cui effettiva utilità si potrebbe discutere per anni. Brasiliana, ha seguito le orme di quel cool-jazz inaugurato da Diana Krall. La Souza, però, canta solamente e si fa accompagnare da un buon nugolo di strumentisti. Il suo è un percorso furbissimo: re-interpretare in chiave jazzata alcuni classici del pop e del rock (da Billy Jean di Michael Jackson a Do you Really Want to Hurt Me dei Culture Club) costruendo delle atmosfere affumicate e notturne decisamente intriganti. Ogni tanto – come nella versione ammiccante di Creep dei Radiohead – il risultato è straniante e bizzarro.