Prosegue il viaggio de IlSussidiario.net nel mondo del rock indipendente italiano. Raffaele Concollato, dopo la chiaccherata con la Jestrai, intervista Enrico Molteni per parlare di un’altra etichetta indipendente, la “Tempesta Records”.
Come e quando è nata la vostra etichetta?
A Pordenone nel 2000 per dare una ragione sociale ai “Tre allegri ragazzi morti”.
Che metro avete usato fin dall’inizio per il reclutamento delle band?
Per i primi dieci anni abbiamo puntato tutto sulla lingua italiana e sui contenuti. L’importante è che si trattasse di musica “leggera”, non è “vuota”. C’è sempre stato in noi il desiderio, tra le note, di cambiare il mondo. Nel 2010 abbiamo aperto la sezione “International” con l’obiettivo di esportare ciò che di più esportabile c’è in Italia. Per il resto non ci sono limiti di genere e le cose, molto spesso, succedono senza troppi ragionamenti. C’entra anche l’istinto.
Curate tutti gli aspetti di un artista (dai live alla grafica)?
No, a dire il vero le band curano il loro progetto. Per eventuali carenze sanno che di noi possono fidarsi.
Che altre etichette internazionali e nazionali apprezzate?
Ce ne sono moltissime. Noi non cerchiamo conflitti, ma alleanze. È inutile essere i rivali di persone come te. Non vogliamo il sangue fratricida per le strade… (ride ndr). All’estero ce ne sono mille di etichette che ammiriamo: RoughTrade, 4AD, Jade Tree, Domino, Dead Oceans… ci rinuncio, sono troppe.
Cosa significa essere un’etichetta indipendente ? Qual è la vera differenza con le major?
È forse la domanda più difficile. Probabilmente le major hanno bisogno di progetti “sicuri”, le indipendenti sono più pazze. È in fondo una questione di esperienza. Ed è nei giovani che c’è il futuro (dicono i vecchi).
Economicamente rientrate dei costi di produzione degli album o dovete puntare sulle esibizioni live?
Riusciamo quasi sempre a rientrare nei costi di produzione, ma spesso gli artisti mettono in gioco un loro investimento, che poi recuperano dai live.
Com’è cambiato il “mestiere” del discografico da quando avete iniziato?
C’è stato un momento di cambiamento epocale per l’oggetto disco. Dal 2000 al 2011 è cambiata principalmente la certezza che il disco ci sarà ancora, fra qualche anno.
Il web è un aiuto o un ostacolo?
Aiuta. Nel momento in cui c’è, aiuta. Quando non c’era, però, si vendevano più dischi e forse li si ascoltava con maggiore attenzione.
Come sono i rapporti con i canali “tradizionali”, dalle radio alle televisioni? Riuscite a far “passare” i vostri artisti?
È un lavoro duro, ma sta regalando grandi soddisfazioni. È come se fosse scoccato il momento di prendere coscienza del fatto che ciò che c’è è ciò che abbiamo. I gruppi che girano e creano un seguito sono la nuova musica popolare italiana.
Molte radio continuano a mandare musica anni Ottanta che nessuno riconosce più. Non capisco perché e, soprattutto, per chi.
Cosa ascoltate quando non lo dovete fare per lavoro?
Ascolto sempre e solo CrookedRain, CrookedRain dei Pavement.
Tre uscite da non perdere nei prossimi mesi.
Il nuovo di Giorgio Canali &Rossofuoco (Rojo), quello di The Zen Circus (Nati per subire) e quello di Sick Tamburo (A.I.U.T.O.).
(Raffaele Concollato)