Sul nuovo allestimento di “Mosé in Egitto” di Gioacchino Rossini, presentato al Rossini Opera Festival (Rof) 2011 si sono divisi pubblico e critica non solo sull’ultima scena (l’opera si chiude con un enorme carro armato israeliano ed un bambino palestinese imbottito di esplosivo: non sapremo se faranno “amicizia” o salteranno in aria insieme) ma sull’intera lettura che Graham Vick (regista), Stuart Nunn (scene e costumi), Giuseppe Di Jorio (luci) e Roberto Abbado (direttore musicale) hanno dato a un lavoro. L’opera è un “azione tragico sacra” di quelle che nell’Ottocento si mettevano in scena in Quaresima (quando spesso i teatri vengono chiusi) viene di solito interpretato come un film hollywoodiano a carattere biblico.
Nella lettura fattane a Pesaro, i versi di Tottola restano tali e quali, ma l’azione è spostata alla Palestina di oggi con, per di più, gli egiziani nelle vesti del Governo di Tel Aviv e Mosè (sempre con il mitra in mano) in quelle di un guerrigliero con seguaci pronti a trasformarsi in bombe umane. E’ un’interpretazione legittima? Oppure una forzatura che riflette le idee di Vick e dei suoi collaboratori piuttosto che quelle degli autori del lavoro? Nel 1998, sempre al Rof, Vick aveva presentato un “Moïse et Pharaon”, rielaborazione francese del “Mosé in Egitto”, in cui la vicenda veniva vista non solo “dalla parte degli ebrei” ma dando grande rilievo alla “Shoa”. Ha voluto equilibrare le due letture?
Indubbiamente vedere Riccardo Zanellato (il baritono che interpreta il profeta) come Bin Laden non può non suscitare polemiche; passa, ad esempio, del tutto inosservata la sua preghiera.
Alcune comunità ebraiche italiane hanno protestato. E’ bello, tuttavia, che invece di applaudire supinamente (e stancamente) il pubblico dibatta e discuta; il teatro in musica torna a svolgere una funzione importante di risveglio della coscienza civile.
Eterno, Immenso, Incomprensibile Dio! nel primo atto; inoltre, il passaggio del Mar Rosso è sostituito dall’apertura di un varco nella Striscia di Gaza al canto del “Dal Tuo Stellato Scoglio”: infine di sangue, torture e preparativi di attentati ce ne sono a bizzeffe. Lo spettacolo raggiungere il suo risultato di afferrare l’attenzione degli spettatori e di farli discutere. E’ da interpretare più come un anelito alla pace nella tormentata Palestina che come una polemica anti-Israele ed un tentativo di attirare l’attenzione con la polemica.
Resta il punto di fondo: un Mosé senza Dio e senza Mar Rosso non è, per molti spettatori, un vero Mosè, nonostante l’ottima interpretazione musicale. C’è un’altra punto: questa edizione dell’opera rossiniana, costruita per l’Adriatic Arena di Pesaro, non è replicabile se l’assetto scenico e la regia non vengono profondamente mutati. Viene messa in scena unicamente tre sere al Rof. In un momento di scarsità di risorse, è questa l’intrapresa in cui imbarcarsi?