«Se a qualcuno non piacciono le chitarre elettriche, si alzi pure ed esca. In questo film ci sono un sacco di chitarre elettriche». A dirlo è il regista Jonathan Demme (“Il silenzio degli innocenti”, “Philadelphia”), presente in sala per introdurre il suo ultimo lavoro, in anteprima europea, appositamente per il Milano Cinema Festival.
Il film è “Neil Young Journeys” («Sullo schermo vedrete ancora il vecchio titolo, “Neil Young Life” spiega Demme “ma Neil ce lo ha fatto cambiare perché pensava fosse troppo celebratorio»), due ore sul palcoscenico con uno dei massimi autori della storia del rock. Non solo palcoscenico: Neil Young accompagna lo spettatore nei luoghi della sua infanzia, quel Canada da dove si allontanò per diventare una star, ma che è rimasto sempre nel suo cuore, come testimonia sui titoli di coda la struggente Helpless, brano che cita l’Ontario, la sua regione di provenienza. Demme è simpatico e sbrigativo, scherza con il pubblico («È venerdì, abbiamo tutti passato una dura settimana di lavoro, ecco un bel modo per andare incontro al weekend») e presentando il suo terzo film su Neil Young, dimostra non solo il suo amore per la musica rock, ma quanto essa sia parte indissolubile della cultura americana: «La musica è una parte così inevitabile della realtà, le nostre vite ne sono pregne». Però “Neil Young Journeys” non è un documentario biografico, almeno non il solito: è un viaggio, appunto.
Nel 1973, già una star di livello mondiale, Neil Young scrisse una canzone apparsa su un disco dal vivo poco amato dal grande pubblico e quasi mai più eseguita dal vivo. Si intitolava Don’t Be Denied e si sarebbe adattata perfettamente a questo film: non essere un rinnegato, ed era un accalorato invito a non dimenticarsi mai delle proprie origini e della propria appartenenza.
Il successo, i milioni di dollari: nulla in confronto alla coscienza di chi si è, della provenienza, della famiglia e del luogo che ci hanno reso persone adulte. Un’appartenenza che coincide con un senso assoluto di integrità, quella di cui cantava allora e che si svela in maniera evidente in ogni fotogramma di questo film e che ha sempre costituito l’essenza di questo artista.
Il musicista canadese, in procinto di suonare alla Massey Hall, piccolo teatro di Toronto, accompagna Demme con la sua vettura degli anni Cinquanta per le strade dove è cresciuto, raccontando piccoli episodi anche banali: la scuola dedicata al padre, famoso scrittore sportivo canadese, l’oratorio, il lago dove si divertiva da bambino a mettere petardi nelle tartarughe («Credo che la mia coscienza ambientalista non sia poi così profonda» scherza citando il suo decennale impegno per la difesa della natura), il prato malmesso dove un tempo sorgeva la casa dei suoi genitori.
In mezzo, il concerto alla Massey Hall: vecchie e nuove canzoni a testimoniare un viaggio nella musica che è un viaggio nella vita. Impossibile separare le due cose. Mentre esegue la vecchia Ohio, incisa nel 1970, ecco passare sullo schermo i volti dei quattro studenti uccisi dalla Guardia nazionale durante una manifestazione contro la guerra in Vietnam. Non c’è nessun commento, nessun discorso pseudo politico: solo i volti giovani dei quattro ragazzi morti e il volto vecchio del 66enne Nel Young muto testimone della vita.
Le riprese: quelle del concerto sono tra le più affascinanti e intense mai viste in un film musicale. Primissimi piani implacabili sul volto anziano dell’uomo, colori intensi che virano dal blu profondo al rosso. Addirittura una telecamera sul microfono che per lunghi minuti inquadra la bocca del cantante e segue le movenze schizofreniche unite al fluire della musica che fuoriesce dalla sua chitarra elettrica. È come trovarsi sul palco con Neil Young. Anzi: è come essere Neil Young. Un effetto pari a quello che fa la telecamera infilata dentro al pianoforte, che mostra il volto semiaperto dell’artista piegato nello sforzo esecutivo.
Momenti straordinari, di una intensità senza pari. Poi la memoria, che fa capolino ogni momento: parlando della casa dei suoi genitori che non c’è più, Young dice: «Non importa: è tutto nella mia mente e nel mio cuore».
Partono le immagini di un suo amico morto recentemente e una canzone inedita, You Never Call, struggente dedica a tutti gli amici persi lungo la strada: «Tu sei in paradiso, io sono ancora qui a lavorare, lavorare, lavorare». Che realismo impressionante. E poi ancora le parole di Young: «Ecco perché non importa se i tuoi amici muoiono. Sono sempre qui, nel tuo cuore e nella tua mente».
Girato nel corso del suo ultimo tour, quello relativo all’album “Le noise”, nel film vengono proposte quasi tutte le canzoni di questo disco, più alcuni classici come Ohio, Down by the River, Hey Hey My My, After the Gold Rush. Young è sempre da solo sul palco, con un magnetismo e un carisma che spaccano anche le telecamere.
Il finale è inevitabile: un lungo, lancinante feedback mentre Neil Young ripete come in stato ipnotico le parole che danno il titolo alla canzone: “walk, walk walk”. Cammina, cammina. Perché la vita è un viaggio, è un cammino. Senza rinnegare mai la propria appartenenza.