Sentire l’emozione che Alessandra Celletti mette in ogni sua registrazione non è cosa da contemporaneità usa-e-getta. Al contrario: si rimane impigliati nell’intensità mai ingombrante con cui questa pianista romana impasta le sue interpretazioni di Erik Satie e di Gurdjieff, di Ravel e di Philip Glass centrando la costruzione di un mondo in cui colpisce l’assenza di confini certi tra autori sacri e nomi del presente, tra pop sperimentale e pianismo del Settecento. Appassionata di Satie e Debussy, la Celletti è un animale strano nel panorama classico italiano. Diplomata a Roma ha poi approfondito tecnica e autori del Novecento con Vera Gobbi Belcredi, celebre pianista romana con cui hanno studiato molti dei più interessanti interpreti degli ultimi decenni, tra cui Arturo Stalteri, altro minimalista fuori dai canoni. Dopo anni di concerti e produzioni variegate, proprio in questi giorni la Celletti ha prodotto il suo tredicesimo lavoro, “Crazy Girl Blue”, prodotto dall’etichetta americana Transparency, un titolo a sua volta incatalogabile che sospende le sue composizioni a un firmamento di musica classica, sperimentazione e gioco, con alcuni insoliti ingredienti di contorno come gli inserti lirici di Tra una stella e l’altra o il melange di voci e rumori di Les Enfantes du Roi.
Incontrare de visu Alessandra Celletti significa entrare in un mondo insolito e verdeggiante in cui minimalismo contemporaneo e Baldassarre Galuppi, vale a dire il Settecento veneziano, non sono su opposte sponde e in cui anche la musica classica e internet dialogano e si sostengono. Gli opposti, nell’universo della Celletti, si attraggono? “Direi proprio di sì: Internet per la mia esperienza di pianista è risultato fondamentale”, mi ha confessato la pianista romana, “e pensare che all’inizio, quando ho aperto per la prima volta la mia pagina su MySpace ero perplessa, perché vedevo il web come una vetrina adatta per lo più al rock e ai giovanissimi. Invece proprio a partire da quella pagina, su cui avevo caricato alcune mie interpretazioni, mi sono arrivate le proposte artistiche più serie e quegli incontri indimenticabili che hanno dato una spinta imprevista alla mia carriera attuale”.
Insomma: entrando nel mondo di Alessandra si scopre che Internet fa breccia in modo intelligente e utile anche nel mondo del pentagramma colto. Entriamo dunque nel merito di questi incontri: il primo la Celletti l’ha fatto con il compositore Hans-Joachim Roedelius, nome celebre dell’avanguardia tedesca (era la mente dell’esperimento Kluster e, più tardi, degli Harmonia, con Dieter Mobius e Brian Eno), con cui dopo qualche mese di corrispondenza digitale ha inciso Sustanza di cose sperata; il secondo, forse il più rilevante, è stato con il produttore e musicista americano Michael Shepard, pianista e sperimentatore (Samuel Barber e George Crumb sono nel suo carnet di interprete), mente dell’etichetta Transparency. Qui la storia si fa divertente: “Michael mi aveva contattato via Myspace proponendomi l’esecuzione integrale dei Klavierstücke di Stockhausen per pianoforte, una proposta sorprendente da un lato perché mi arrivava via internet, ma dall’altro anche molto impegnativa perché non mi sentivo preparata. Mi ha lasciato molto indecisa, perché era un lavoro che mi avrebbe richiesto un periodo molto lungo di approccio e interpretazione e avrei dovuto lasciare indietro altre cose che mi stavano a cuore”. E dunque cosa è accaduto? Non si può certo abbandonare Stockhausen a cuor leggero… “Infatti, ho deciso di non farlo e gli ho scritto a malincuore, però ho avuto l’incoscienza di fargli una controproposta. La mia mail diceva, più o meno: caro Michael, sono onorata della sua ipotesi, ma non me la sento, però visto che sto lavorando su Baldassarre Galuppi le proporrei un’incisione con sue musiche, anche sapendo che è un po’ l’opposto di Stockhausen…”. L’incoscienza di Alessandra meritava un premio, così Shepard gli ha lasciato carta bianca: “Alessandra Celletti Plays Baldassarre Galuppi ” è uscito nel 2009 inizio di una collaborazione con Transparency che è diventata anche una tourneé americana e tanti altri piccoli e grandi progetti in corso, “dove i meriti di Michael sono proprio tanti, perché lui è veramente una persona speciale, un antico idealista musicale”.
Tra i progetti in corso un posto particolare lo meritano, ovviamente, le canzoni di quest’ultimo disco della Celletti, un compendio di intimismo in quindici composizioni che vanno dal romanticismo sofferto di La rosa ha ucciso l’orchidea bianca al calore vellutato di Five O’Clock, mentre il tocco morbido di Dalle tue ciglia s’intreccia con le note ventose di La voleur de l’ombre, brano conclusivo della raccolta. Quarto album di brani di propria composizione – gli altri sono Chi Mi Darà Le Ali, The Golden Fly e Way Out, quest’ultimo realizzato anche in compagnia di varie percussioni e batteria – questo “Crazy Girl Blue” appare di maturità piena e di originalità acquisita. Domanda: cara Celletti, da dove viene la voglia di incidere proprie composizioni in un musicista d’estrazione classica? Non basta il confronto con migliaia di partiture, magari inesplorate?
Risposta dell’artista: “Nel nostro ambiente ci sono divisioni naturali tra interprete e compositore, mentre per il mio approccio – che è decisamente più anarchico – mi è venuto naturale cercare di esplorare l’ignoto e vedere cosa accadeva se mi concepivo come compositrice. Per ora i risultati mi soddisfano e credo che proseguirò finché sento di avere un pubblico che gradisce quello che ascolta”. Ma come e dove nasce il singolo brano? Proviamo a entrare nel fatidico tema dell’ispirazione “Mi siedo al piano, suono qualcosa, provo delle variazioni”, prova a spiegare Alessandra Celletti. “Se arriva una melodia che funziona, che corrisponde e dice qualcosa al mio animo, la suono e la risuono, la modifico e poi la registro. Solo dopo tutto questo processo la scrivo sul pentagramma. Ogni tanto mi manca l’aspetto lirico e quindi ogni tanto mi accade che alla partitura aggiungo anche una certa parte di vocalità. Anche se non mi scordo mai una mia convinzione: che la musica strumentale ce le ha già le parole e il vero problema è di chi non le sente”.
Pianista, Alessandra Celletti incide dischi che all’ascolto suonano figli di quella terra di nessuno in cui pop e classica tentano improbabili sodalizi. Ci sono tanti personaggi negli ultimi anni, pensiamo ad Allevi ed Einaudi, che stanno portando il pubblico proprio verso un suono di estrazione classica ed è ovvio che quando si ascolta la Celletti per la prima volta venga da fare qualche collegamento con i due celebri nomi. Cosa ne pensa la diretta interessata? “Sono un po’… sdoppiata di fronte al fenomeno. Da una parte c’è l’elemento di ricaduta indubbiamente positivo di fronte a questi fenomeni, perché la gente si avvicina al pianoforte, che è uno strumento verso cui c’è da tempo poca attenzione di massa. Dall’altro c’è però l’elemento di stampo commerciale per cui si rischia di diventare un po’ come una saponetta venduta al supermercato. Insomma credo che occorra mantenere una certa chiarezza su quello che uno fa, cercando di non adeguarsi a divenire prodotti di bassa qualità”. Ma quando sente dire la ‘Celletti come Allevi’, lei, l’interessata, cosa risponde? “Dico che suoniamo lo stesso strumento, ma che lui è molto più ricco di me”. E il rock? La musica di batterie e di chitarre elettriche gli dice qualcosa a questa pianista tutta emozione e silenzio? Risposta della pianista romana: “Francamente adoro Nick Cave, di cui credo di avere praticamente tutta la discografia”. Perbacco: non si può certo dire che sia un artista leggero… “Ma io lo adoro perché ha una forza spigolosa e insieme profonda e dolce”.
Romana, anche se di origini riminesi, Alessandra Celletti, negli anni si è ritagliata un’aurea di stima negli ambienti più vari. Concerti e manifestazioni di musica colta, a Firenze come a San Francisco, sempre grazie ad un insieme di ricerca e di perfezione esecutiva. E ora: cosa c’è nell’agenda per i prossimi mesi? “Il nuovo disco sta uscendo, vediamo che vita farà. Ora mi devo dedicare anima e corpo al concerto di Londra…”. Si tratta del Planet tree festival che si terrà in novembre al Red Hedgehog: una settimana di concerti ad alto grado di sperimentazione dove la Celletti si esibirà con un repertorio di partiture contemporanee e interpretando le partiture di Lawrence Ball, uno dei nomi sacri della musica minimalista. “E’ un lavoro che mi sta impegnando tantissimo sullo strumento. Entrare dentro una partitura di poche note, di tante pause e di infiniti spazi, è un lavoro immenso e di fatica fisica indicibile”. Ma in fin dei conti l’arte costa sempre fatica…