Gli anni Settanta sono stati un sogno o un incubo? Una visione allucinata, uno slogan violento, un’utopia svagata, una frustrazione inespressa, uno scrigno inatteso? Mentre tutto il mondo costruiva le proprie vie verso l’espressività musicale, in Italia nasceva la Cramps Record, creata da un genialoide dai mille interessi, Gianni Sassi, convinto della necessità – anche nel nostro Paese – di sviluppare prodotti alternativi, anarchici, fortemente influenzati dai flussi culturali ed esperienziali “spontanei”. Nata in momento in cui la discografia italiana presentava comunque decine di marchi e inanellava successi milionari da Celentano a Battisti, la Cramps attecchisce negli ambienti universitari e giovanili di cultura marxista e proletaria e gode del suo periodo d’oro tra il ’73 e il ’77, con la produzione dei migliori dischi degli Area (Arbeit Macht Fret, Caution Radiation Area e Are(A)zione), di Eugenio Finardi (Sugo e Diesel) e degli Arti e Mestieri (Tilt). Vastissima nei suoi interessi – come il suo fondatore: Sassi era in realtà un uomo di arte e pittura – la Cramps legava il proprio nome anche ad artisti come John Cage, era una delle forze propulsive delle varie edizioni del Festival del Parco Lambro come delle altre iniziative degli anarchici di Re Nudo.



Un mondo tutto da rileggere, con il senno di oggi, da ricomprendere nel suo tentativo di trovare protagonismo e identità, mentre l’Italia – come il resto del mondo occidentale – vedeva sfaldarsi valori, idealità, capacità di coesione generazionale. Un mondo che proponeva musica come espressione di disagio e di controcultura, che con il rifiuto anche violento dell’esistente sperava di riuscire nell’impossibile della ricostruzione del presente, lasciando però macerie e delusioni: non a caso la scossa dell’omicidio Moro lasciò ferite indelebili in tutto l’ambiente della sinistra più o meno estrema, espressioni artistiche comprese.



In una serata di celebrazione e (forse) di nostalgia verso quegli anni, Milano propone una Cramps Night (7 settembre, Palasharp) che si presenta davvero come una serata di insolita passerella per tre dei nomi più celebri di quella stagione: Eugenio Finardi, Claudio Rocchi e gli Area, musicisti che nei primi anni Settanta hanno mosso i loro primi passi, portatori ognuno di una diversa visione musicale, umana, artistica. Degli Area, una delle band più rilevanti di tutto il panorama musicale non solo italiano, abbiamo già parlato molto nel recente passato, per via di una serie di reunion a cui Fariselli, Tavolazzi e Tofani hanno ormai abituato il pubblico, anche perché i tre musicisti in questione rappresentano davvero il meglio del meglio di casa nostra. Di Finardi si sa “quasi” tutto, anche che sta circolando con un suo personalissimo show del blues acustico, lui che gli States li ha vissuti benissimo e che è capace di spostarsi agevolmente da Big Bill Broonzy fino a James Taylor senza tradire spirito e passione degli originali. Ma è comunque in quei suoi primi dischi veraci e passionali, che l’Eugenio rivelava la sua grinta, con canzoni come Soldi, Musica ribelle e Radio libera, canzoni che fotografavano un mondo giovanile, una scossa che serpeggiava negli adolescenti di mezza Italia e che rimangono ancora oggi la cifra di una ottima capacità di scrittura. In misura inferiore  agli Area e a Finardi si conosce, forse, il contributo musicale di Claudio Rocchi, cantautore di intimismo mistico davvero raro e insolito presente alla serata anche se i suo dischi migliori non sono stati registrati con l’etichetta di Sassi.



Dall’esordio come bassista degli Stormy Six (quelli di Stalingrado), Rocchi ha evoluto un suo discorso personale con alcuni celebri dischi (Viaggio, Volo magico nr.1 ed Essenza) ed alcune canzoni (soprattutto La tua prima luna e La realtà non esiste) che hanno raccontato una generazione italiana in fuga verso l’India e la psichedelia e in cerca di una propria nuova identità fatta di spiritualità non occidentale per molti versi vicina a quella di Cat Stevens; non risulta quindi strano che, come Tofani, anche Rocchi ha negli anni successivi abbracciato il buddismo, diventando guida della comunità arancione di San Casciano in Toscana (la più grande d’Italia).

Chi ascoltava rock in Italia, in quei giorni, quasi inevitabilmente finiva sui dischi della Cramps. Nel suo catalogo c’erano i tre nomi che andranno in scena nella serata milanese, ma c’erano pure Arti&Mestieri e John Cage, Giusto Pio e gli Skiantos, Steve Lacy e Alberto Camerini (il più strepitosamente dotato dei chitarristi di quei giorni), assemblati da Sassi più in base alla necessità di realizzare prodotti di “altra musica” piuttosto che da un discorso univoco dal punto di vista artistico, politico e culturale. In quegli anni adolescenziali ho visto ed ascoltato quasi tutto ciò che la Cramps proponeva. Mi sono visto gli Area, Rocchi, Finardi, Camerini a Lodi, San Giuliano, Melegnano o a Milano, al parco Lambro e in varie feste di paese o di partito. Non so dire esattamente se era più importante ascoltarli oppure esserci, sapere di essere in un qualche modo protagonista.

Ecco una sensazione che non credo mi abbandonerà mai: la gente in un qualche modo c’era senza avere il problema di essere a un concerto. Ci si accalcava sotto il piccolo palco anche se non si sapeva neppure una canzone di chi stava suonando. Spesso non c’erano biglietti, non c’era servizio d’ordine, non c’erano luci e l’amplificazione era ridicola. Giravano bottiglie di vino, spinelli e joint, confusione, bandiere e ciclostilati che inneggiavano alle pubblicazioni del proletariato giovanile. C’erano tante tende dei “Bambini di Gesù”, una fazione religioso-anarchica di cui non mai compreso la provenienza. C’era tanto caos divertente, belle ragazze vestite all’americana. Ma c’era anche tanto disorientamento. Parlavamo, cantavamo, urlavamo con i dischi Cramps: qualcuno ascoltava?

Ne La tua prima luna, il Claudio Rocchi canta la fuga di casa di un ragazzino, “Questa è la tua prima luna che vedi/ Fuori di casa sapendo di non ritornare/ Oggi sei uscito e ti sei domandato/ Ma dove sto andando e che cosa farò”. Non so se la Cramps Night riuscirà a raccontare il clima umano di quegli anni: ribellione ma anche tanta solitudine, voglia di personalità, ma anche tanta necessità di risposte. Demetrio Stratos è stato forse il primo ad abbandonare le utopie sociali di quei giorni, per cominciare a ricercare dentro di se l’origine della voce, del grido. La serata Cramps sarà una bella passerella di musica, ne sono certo: chissà se l’eco, in lontananza, di un certo grido riuscirà ancora a farsi sentire…