X Factor 5 si è chiuso con la vittoria (quasi) a sorpresa della giovanissima Francesca, 16 anni. Ma si è chiuso anche con un ottimo risultato di telespettatori e di critica, per quella che è stata la prima versione del talent trasmessa da una pay per view tv, dopo le precedenti edizioni non proprio di successo prodotte dalla Rai. Un successo questo, invece, scaturito da diverse ragioni: la formula meno statica e più briosa, i talenti musicali, l’approccio dei giudici. «C’era maggior libertà – ha detto a IlSussidiario.net Lucio “Violino” Fabbri, direttore musicale di X Factor per la quarta volta consecutiva -. Rispetto alle edizioni Rai, dove si spingeva maggiormente per brani di autori italiani possibilmente di successo, quest’anno ci siamo tolti qualche sfizio passando dagli Ac/Dc ai Red Hot Chili Peppers. L’ambiente era molto più rilassato».
Lucio Fabbri, storico nome della musica italiana dagli anni Settanta, quando, giovanissimo, collaborava con gente del calibro di Demetrio Stratos o Fabrizio De André commenta poi la vittoria di Francesca: «È sicuramente un talento: suona il basso in una band, suona il pianoforte molto bene e assimila altrettanto bene».
Fabbri, ci spieghi in cosa consiste esattamente il suo ruolo di direttore musicale di X Factor.
Fondamentalmente sono il responsabile delle basi musicali su cui cantano i ragazzi, tutta quella musica cioè che viene prodotta per cantarci sopra. Ecco, quella la realizzo io. I brani vengono adattati a ogni esigenza di ogni singolo concorrente: tonalità, piuttosto che un arrangiamento fatto in un certo modo.
Decide lei anche quali canzoni dovranno cantare i concorrenti?
Non esattamente, non sono quello che decide la linea editoriale dei brani da cantare. Io sono l’esperto che viene consultato ogni volta che c’è da fare qualche cosa, poi però ci sono gli autori i giudici e i concorrenti, i coach, che pensano ai brani da eseguire di volta in volta. Qualche volta posso influenzarne la scelta quando vedo che partono per la tangente e che sbagliano secondo me il pezzo che vogliono fare: allora intervengo e suggerisco i brani migliori.
Mi sembra di capire che il suo sia un impegno notevole, vista la quantità di canzoni che vengono eseguite in un’edizione di X Factor.
Dal punto di vista dell’impegno è un impegno enorme perché in tempi sono brevissimi e dobbiamo dare il massimo del risultato. Le richieste mi vengono dai coach: c’è il giudice che decide i titoli delle canzoni poi il coach fa da intermediario fra me e il giudice.
Io interagisco principalmente con il coach anche perché è lui che ha il contatto diretto con il ragazzo, perché di fatto non mi è possibile avere un contatto diretto con il concorrente. Sono praticamente blindati senza telefonino, non possono parlare con nessuno, possono solo incontrare il coach in determinati orari.
Ci dia un esempio dei tempi del suo lavoro.
Da quando i pezzi mi vengono comunicati a produrre la base passano 24 ore e in certi casi, da un minimo di 5 o 6 basi, si producono anche più di venti basi per un brano solo. Bisogna buttare già un primo rough mix più o meno avanzato come qualità, ma a volte bastano anche solo una chitarra e una batteria per far capire l’andamento del pezzo. Nel giro di tre giorni poi bisogna perfezionare tutte le basi.
Una stima di quante basi musicali lei produce in una edizione si può fare?
Quest’anno, essendo stato X Factor prodotto con meno puntate rispetto alle produzioni Rai, ho fatto 102 basi, mediamente ne facevamo 150 circa. Parlo al plurale perché ho una squadra che collabora con me, io faccio la maggior parte del lavoro poi ho delle persone che mi aiutano. Ad esempio se ci sono dei brani più R&B ho un collaboratore specifico per quel genere musicale. Io prendo in mano i pezzi che più sono da stravolgere partendo da zero e quelli maggiormente rock.
Rispetto alle precedenti edizioni, cos’è cambiato per lei in questo X Factor targato Sky?
Ci siamo tolti diversi sfizi, abbiamo avuto una certa libertà in più. In Rai si tendeva a fare canzoni un po’ più tradizionali, c’era una lotta tra gli autori per spingere su brani cantati in italiano e di successo. Quest’anno invece eravamo molto liberi, qualsiasi titolo andava bene dagli Ac/Dc ai Red Hot Chili Peppers. Si era tutti molto più rilassati, evidentemente avevano meno problemi di audience. Diciamo che avevano il problema di fare una bella trasmissione piuttosto che fare i numeri di audience a tutti i costi.
I pezzi che musicalmente le hanno dato maggiori soddisfazioni, a lavorarci sopra?
Ho iniziato la prima puntata con una versione di Azzurro molto particolare: mi sono divertito a farla in un certo modo visto che tendono tutti a farla nello stesso modo. Io mi diverto quando mi lasciano fare di testa mia… Mi sono anche divertito a lavorare a certe canzoni degli anni Ottanta, soprattutto brani italiani tipo Folle città. Ritengo che a quell’epoca senza voler offendere nessuno naturalmente, non si lavorasse proprio benissimo così mi sono preso la briga di riarrangiare certe canzoni, ispirandomi ad esempio ai Blood Sweat and Tears. Poi penso a un pezzo come Because dei Beatles anche se in realtà è servita a far eliminare un gruppo di concorrenti, ma è sempre piacevole lavorare sui pezzi dei Beatles.
Francesca: vincitrice meritata? Quali sono le sue doti che apprezzi di più?
Secondo me ha meritato di vincere anche se tutti i primi tre arrivati erano molto bravi ognuno nel loro campo. Diciamo che sia i Moderni che Antonella rappresentavano mondi musicali un po’ troppo diversi dal mio, invece Francesca essendo una rockettara con belle venature blues, mi sono sentito più affine a lei.
Quando abbiamo fatto Roadhouse Blues dei Doors, avevo invitato Fabio Treves a suonare l’armonica. Prima gli ho detto: ti faccio sentire come canta la ragazza calcola che ha soli 16 anni e lui è cascato per terra quando ha sentito la sua versione di Whole Lotta Love: è diventato subito un suo fan. Ha certamente molto talento.
Cosa accomuna invece i concorrenti di X Factor?
Hanno tutti una cosa in comune, non hanno esperienza dal vivo, non hanno fatto la gavetta. In queste quattro edizioni di X Factor a cui ho preso parte non ho quasi mai trovato qualcuno che avesse fatto prima del live. Questo anche perché in Italia il live non esiste, è già difficile per quelli affermati suonare dal vivo figurati per gli esordienti. Sono tutti ragazzi che cantano in casa poi te li ritrovi qua in studio e cerchi di metterli un po’ in riga , ma si vede che sono acerbi. Questo vale per tutti non solo per chi ha 16 anni.
Dunque i talent show come unica possibilità per i giovani di emergere?
Purtroppo sì, ma non è un merito del talent show. Il talent show è così e così lo prendiamo, nel bene e nel male. Il problema vero è che non ci sono alternative.
Cioè?
Se esistessero anche trasmissioni – ne dico una – com’era stata Doc allora potremmo dire che Doc è meglio dei talent show, ma il problema è che Doc non c’è. Non seguo Amici per cui non posso fare paragoni però avendo lavorato a X Factor vedo realmente dei ragazzi che entrano il primo giorno in un modo e dopo tre mesi sono maturati di brutto perché hanno avuto comunque un contatto con il pubblico.
Cosa succede?
Succede che questi imparano delle canzoni che magari non conoscevano prima e scoprono di avere delle attitudini per cantarle e le sperimentano direttamente davanti a un pubblico. Cantare e sentire la risposta del pubblico è un regalo enorme, non esistono alternative.
Prendiamo il caso di una ragazzina di 16 anni che vuole suonare dal vivo: il massimo che può fare è invitare gli amici in cantina e cantare davanti a loro. Non esiste in Italia una realtà analoga: il live è in difficoltà perché portare in giro la musica costa, gli spazi sono pochissimi, i gestori dei locali si fanno domande tipo “chiamo un gruppo rock e poi se non viene la gente io vado in perdita”.
Eppure ai grandi concerti delle “leggende” di pubblico ce n’è sempre tanto.
Se andassimo a vedere solo gli stranieri potremmo dire che la gente va ai concerti, va e paga un mucchio di soldi per vedere “The Wall”, ma in realtà a livelli più bassi, quelli degli esordienti, non c’è alcun aiuto, nessuno ti aiuta. Bisogna sperare in un talent show. Ai miei tempi, parlo degli anni Settanta, era un tantino più semplice. C’erano i festival, c’era un pubblico affamato di musica. Oggi il pubblico non è più affamato, ma se gliela porti in televisione se la guarda. I dati dimostrano che la gente la musica la segue, ma gliela devi portare dentro casa.
Quali sono i suoi progetti, adesso che X Factor è terminato?
Io lavoro con la PFM da circa dieci anni come musicista dal vivo. Recentemente ho prodotto due dischi di Roberto Vecchioni, ho suonato con lui nel 2011 e credo faremo altri concerti nel 2012. Anche con la PFM faremo dei concerti, probabilmente andremo anche in Sud America. Poi tornerò ancora a X Factor, almeno credo, visto che sono rimasti molto contenti del mio lavoro.
Lei ha lavorato con moltissimi musicisti nella sua carriera, in particolare con due grandi nomi come Demetrio Stratos e Fabrizio De André: un loro ricordo?
Una parola non basta, si è detto comunque così tanto di loro. Diciamo forse che c’era un livello di incoscienza da parte mia da non rendermi conto con chi stavo interagendo. Adesso mi dico: cavolo Demetrio Stratos, ma allora Demetrio era uno di noi, tendevamo a considerare tutto molto normale. Ad esempio suonare con De André in un periodo in cui i live non se ne facevano molti in quel modo. Registrammo dei dischi dal vivo, vennero i camion apposta dall’Inghilterra, qualcosa che ai tempi nessuno aveva fatto. Eravamo dei pionieri, ma ci sembrava normale, era normale anche che qualcuno incendiasse delle macchine fuori dei concerti…
Fu un periodo molto intenso, con molta incoscienza: avevo vent’anni e non mi rendevo conto del momento storico. Mi rendo più conto oggi di aver avuto la possibilità di aver partecipato a momenti storici e così belli.
(Paolo Vites)