In tempi come i nostri, la musica “popolare” diventa molto spesso nulla di più che un tassello qualunque di un enorme mosaico asservito all’economia, per cui l’immediato ricavo travalica come importanza il risultato artistico, e pazienza se tanti pseudo-artisti reggono il tempo di un videoclip; questo scenario acuisce ulteriormente il dolore per la scomparsa di Nanni Ricordi, creativo e visionario neo-rinascimentale della musica italiana, in grado di ricoprire tanti ruoli diversi sempre con la volontà creativa di scavalcare le vecchie regole e al contempo crearne di nuove.



Nanni è morto a Sala Monferrato ieri, a ottant’anni non ancora compiuti – era nato a Milano l’11 febbraio 1932 – e come si evince da suo nome discendeva, seppure in linea collaterale, dalla celeberrima casa editrice, fondata dal suo trisavolo Giovanni Ricordi.
Dopo il diploma in pianoforte, la laurea in giurisprudenza e un breve periodo passato in un impiego legale, Nanni entra nell’azienda di famiglia, dove era stato appena aperto nei primi anni Cinquanta un settore discografico dedicato alla musica leggera, diretto da Mariano Rapetti, il cui figlio Giulio diventerà famosissimo con lo pseudonimo di Mogol.



Sono questi gli anni in cui Milano vede una straordinaria fioritura artistica in tutti i settori, da quelli “colti” a quelli popolari – la Scala vive l’irripetibile stagione di Ghiringhelli mentre la musica jazz si diffonde sempre di più – e Nanni Ricordi, da vero figlio di questo momento storico, saprà sempre accogliere contributi da qualsiasi area, non esclusa quella pittorica che fioriva nell’ambiente di Brera; non a caso il primo e più fidato collaboratore di Nanni sarà Franco Crepax, fratello del celeberrimo disegnatore Guido (quello di “Valentina”), e il logo dell’etichetta, col celebre accostamento arancione-nero, sarà opera di Bruno Munari, per tacere del fatto che Gino Paoli approdò all’etichetta quando ancora la sua principale attività era quella di pittore, al punto da disegnare lui stesso la copertina del suo 45 giri “Io vivo nella luna”.



L’etichetta Ricordi nasce ufficialmente il primo ottobre 1958, e la prima registrazione pubblicata è l’opera di Luigi Cherubini “Medea”: la presenza di Maria Callas aiuterà certo a vendere un prodotto di nicchia come questo, ma subito il mese successivo usciranno i primi singoli di Giorgio Gaber (che accorcia per i dischi il suo cognome istriano, Gaberscik, opponendosi ai tre nomi d’arte proposti da Mogol, ossia Joe Cavallo, Jimmy Nuvola e Rod Corda…).

Da subito Nanni Ricordi mostrerà un eccezionale fiuto per i talenti nuovi, ingaggiando oltre a Paoli e Gaber, Ornella Vanoni  – allora nota come la “cantante della mala” – e Umberto Bindi, che nel 1960 donerà all’etichetta un successo di portata internazionale come “Il nostro concerto”, il cui influsso giungerà a lidi impensabili: il cantante Santino Rocchetti, che lavorava in quegli anni nei locali di Amburgo, ricorderà che due ragazzi inglesi membri di un complesso rock’n’roll di un altro locale andavano a sentirlo spesso nelle sere di pausa, e chiedevano sempre due brani, quello di Bindi e “Come sinfonia” di Pino Donaggio. I ragazzi si chiamavano John Lennon e Paul Mc Cartney.

Nello stesso anno, Gino Paoli inciderà la prima versione di “Il cielo in una stanza”, nota per una curiosa lieve censura, in quanto la celebre sezione che inizia con “Suona un’armonica” presenta una correzione con “mi sembra un organo che canta per te e per me”, in quanto la parola “vibra” era considerata troppo suggestiva (Paoli canterà la versione originale solo su RCA, etichetta grande e potente che non temeva censure come la “piccola” Ricordi).

Altri autori portati da Nanni alla Ricordi, per la sotto-etichetta Tavola Rotonda, furono Enzo Jannacci, Sergio Endrigo e Ricky Gianco (che all’epoca si firmava Richy Sanna, usando il nome sardo del padre); altro enorme talento scoperto da Nanni fu Luigi Tenco, che firmò vari brani con pseudonimi quali Gordon Cliff, Gigi Mai e Dick Ventuno per timore di urtare la famiglia, produttrice del famoso “Barbera Tenco”, ma che per fortuna una volta rotti gli indugi diede il suo vero nome a capolavori immortali come “Angela” e soprattutto “Mi sono innamorato di te”, senza dimenticare “Quando”, che però sfonderà nella versione di Peppino di Capri.

Nel 1963 Nanni abbandona la Ricordi e passa alla RCA, non escludendo anche collaborazioni in ambito teatrale quando Giancarlo Menotti lo vorrà direttore artistico al “Festival dei Due Mondi”, all’interno del quale nel 1964 scoppierà un vasto scandalo per lo spettacolo sul repertorio popolare “Bella Ciao” di Roberto Leydi e Filippo Crivelli, soprattutto per via della canzone “O Gorizia tu sei maledetta”: in sala è presente un capitano dei carabinieri che denuncerà gli artisti per vilipendio della patria.

Nanni Ricordi tornerà alla musica come produttore di Luigi Tenco ed Enzo Jannacci è Nanni a produrre la storica “Vengo anch’io, no tu no” – per poi fondare un’ulteriore etichetta, la “Ultima Spiaggia”, attiva dal 1974 fino al 1979, quando chiuderà per fallimento: sarà per questa etichetta che Jannacci inciderà un altro album epocale come “Quelli che…”, ma fra gli altri artisti proposti ci saranno eccellenti autori come Gianfranco Manfredi, Ivan Cattaneo, David Riondino, e Claudio Lolli, oltre a Roberto Colombo col pregevolissimo album strumentale “Sfogatevi bestie”, e – strano ma vero – anche Massimo Boldi, con un singolo di rock demenziale come “Zan Zan Le Belle Rane” che anticipa di due anni le follie degli Skiantos.

L’ultimo artista seguito da Nanni Ricordi prima di ritirarsi a vita privata è Sergio Caputo, e non casualmente la carriera di questo genio si chiude con un artista in grado di spaziare fra generi diversi, come dimostrano lo swingante “Sabato Italiano” e il latineggiante “Italiani Mambo”: fino all’ultimo, Nanni ha confermato con la sua attività che le regole sono fatte per essere riscritte.