Il Super Maestro: otto diplomi di Conservatorio (pianoforte, organo e composizione organistica, clavicembalo, musica corale e direzione di coro, polifonia vocale, strumentazione per banda e direzione d’orchestra). L’instancabile danzatore della panchetta d’organo: tremila concerti, quasi duecento incisioni, prove, studio, lettura e creazione di nuove partiture, insegnamento (ma in piedi, come i normali esseri umani, ci sta mai?).
Baciato dal dono dell’ubiquità: direttore del Coro da camera della Rai, Ispettore del Ministero dei Beni Artistici, docente a Santa Cecilia, direttore artistico della Radio Vaticana, del Liceo Musicale di Vercelli, della Società cameristica di Lugano (per dirne la metà). Stiamo parlando di Arturo Sacchetti, settant’anni tondi freschi suonati, festeggiati con un cd di suoi inediti lavori organistici. “La composizione è l’angolo intimo della mia creatività, è una confessione, è l’atto giustificante di un modo d’essere. Ho voluto testimoniare come sia ancora possibile inventare musica con nobiltà, originalità e saggezza senza cadere preda di facili chimere. La ricerca del nuovo fine a se stessa, il vacuo sperimentalismo, finte rivoluzioni, hanno fatto fuggire tante orecchie desiderose di godimento, gioia, serenità. Anch’io sono stato figlio della follia del comporre: nella mia gioventù scrivere musica significava tracciare liste a lutto, tratteggiare disegnini idioti, scherzare con le frequenze, violentare gli strumenti, pasticciare, nel totale smarrimento della creatività. Un’apparente modernità che mi ha segnato e ridotto quasi all’impotenza”.
Si può vivere d’organo in Italia?
No, né liturgicamente, né concertisticamente. Nel primo caso, gli strumenti esistono – fulgidi, funzionali, ritornati a nuova vita – ma alla Chiesa non interessano gli organi e nemmeno gli organisti. Nel secondo, il concertismo organistico non ha sedi (pochissime sale da concerto e auditorium possiedono organi) e i depositari degli organi nei luoghi sacri spesso non accettano che la chiesa divenga una sala da concerto. La musica era la mia vita. Ho fatto musica leggera per anni, ho assolto i compiti di organista liturgico, ho suonato il tamburino nella banda musicale del paese natale, Santhià, diretta da mio padre, ho cantato nel coro parrocchiale, ho composto canzonette e canzoni del carnevale.
Che artista del ‘900 ricorda in modo particolare?
Ho avuto la fortuna di condividere con veri maestri gli ultimi afflati di una gloria musicale ormai smarrita. Porto con me, nel profondo del cuore, alcuni ricordi indimenticabili, come lampi. La mia fame insaziabile, rinnovata dal ricevere la musica direttamente dalle loro mani: il fascino di Salvatore Quasimodo, l’umiltà di Bruno Bettinelli, il carisma di Fernando Germani, l’introversione di Nino Antonellini, la magia di Alberto Mozzati, l’affetto di Edwin Loehrer, la leggenda di Giuseppe Valdengo, la forza di Gary Bertini, la profondità di Goffredo Petrassi, e tanti altri ancora.
In molti la ricordano protagonista di pionieristiche serie televisive musicali in Rai.
Quelle trasmissioni hanno seminato torme di cultori. Erano addirittura collocate alle 13, in ore strategiche d’ascolto. Una Rai in bianco e nero, che non c’è più. Ora nelle emittenti, pubbliche e private, non si fa cultura. E’ una congiura nei confronti del bello, dello spirituale, del sublime, del nobile, dell’elevato? Valori che fanno paura e non interessano; essi rappresentano l’effimero, l’inutile, il vezzoso, lo strano. Contradditoriamente, altrove la pensano diversamente e annettono alla cultura importanza colossale.