Ai tempi di “Pollution” sperimentava. Ai tempi de “La Voce del Padrone” trionfava. Nei giorni di “Fisiognomica” raggiungeva la sua piena forza artistica. Con “Povera Patria” e in “Come un cammello in una grondaia” diventava voce di riflessione nazionale. Con “Fleurs” si confrontava con la musica pop italiana. Chi è il Battiato di oggi e cosa vuole cantare al mondo il cantautore siciliano con l’uscita del nuovo “Apriti Sesamo”?
Arrivato a 67 anni mescolando accanitamente e come nessuno mai prima i suoni della tradizione e dell’avanguardia, dell’occidente e dell’oriente, le parole della quotidianità con quelle della poesia, del colto e del pop, del divino con il fortemente terreno, Battiato riprova con questo nuovo album a raccontare con spiccata personalità i tratti che collegano passato a futuro, sacro a profano, Dante alle Mille e una Notte. E’ solo con lui che uno può trovarsi ad ascoltare alla radio musiche che sanno di tradizione moresca (nella canzone che titola il cd) oppure citazioni da Santa Teresa D’Avila e trovarle credibili, non fuori dal tempo, meritevoli di una qualche attenzione.
Questo “Apriti Sesamo” è un disco con almeno tre canzoni (se si possono definire ancora così) forti e soprattutto con una dimensione musicale che continua a parlare il linguaggio della non scontata banalità. La più bella è forse Quando ero giovane, brano dalla strumentazione ibrida di archi e chitarre elettriche che racconta brandelli di gioventù: “Andavamo a suonare nelle sale della Lombardia e c’era un’atmosfera eccezionale; la domenica pomeriggio in quelle balere si divertivano a ballare operai e cameriere”. Canzone sul passato che ha lasciato il passo ad un presente grigio (“Le cattive notizie in questi tempi ci sommergono”), ma soprattutto canzone sulla memoria, sul tempo della gioventù, sulla freschezza delle forze umane e sulle coscienze. Forse più che in altri dischi, Battiato (che anche qui utilizza alcuni testi di Manlio Sgalambro) in questo nuovo lavoro riflette e canta sul senso del tempo passato e del tempo che verrà, tra ricordi bellissimi (“il richiamo che invita alla preghiera del tramonto…. Vedo che la mia anima ha un volto”, in Irresistibile richiamo) e senso della morte (“Cosa lascio ai miei eredi, Cristo nei Vangeli parla di reincarnazione”, in Testamento). Non gli mancano le sferzate etiche sul disfacimento di certi valori, ricordando che il denaro è spesso come il serpente della Genesi e che il nostro presente “è un mondo orribile” nel quale troppi valori abbiam perduto (Passacaglia) il tutto espresso con quella forma poetico-musicale che nessun altro al mondo riesce a rendere credibile nella sua folle anacronistici: chi oggi potrebbe realisticamente raccontare la storia di Ali Babà e Sherazade senza venire fischiato dal pubblico avvezzo al linguaggio e ai contenuti di Maria De Filippi e Belen?
Ma qui sta il nocciolo: Battiato ha un percorso artistico eccentrico e originale, un autorevolezza che gli permette di esser ciò che vuole essere e dire ciò che gli sta a cuore, un radicamento popolare che lo rende ascoltabile ovunque. Certo “Apriti Sesamo” non è “La voce del Padrone”, ma che importa se è da prendere a piccole dosi. Sembra troppo colto? E’ un po’ troppo moraleggiante? Ancora: ma che importa! Anzi: per fortuna c’è la sua voce (mai troppo bella: anche questa volta è sottile eppure rimane efficace) e la sua assurda concezione di pop-music eremitico-monacale come di contenitore di ineffabili scibili artistici. Basterebbe comunque ascoltare La polvere del branco (“ci crediamo liberi ma siamo prigionieri che remano su navi inesistenti; ci crediamo liberi ma siamo schiavi, milioni di ombre sperdute, andiamo per le strade alzando solo polvere”) per dire: dateci un Battiato all’anno e digeriremo anche X Factor.