Un nuovo disco di Alice è una grande “non ricorrenza”, è l’evento mai andato in scena, è tanto raro da porsi come l’ardita parola fuori dal copione della esausta recita della musica italiana. Lei stessa forse né è cosciente ma nelle note a margine del disco – con la sola grande e possibile onestà, più umana che intellettuale – dice: “non credo di aver “tardato”, ho soltanto atteso quanto serviva, per riuscire a mettere insieme le canzoni giuste”.
Samsara altro non è che una leale presa di coscienza di questa semplice e inesorabile evidenza. L’arte non è come la colazione mattutina al bar dell’angolo, forse la prevede, ma non si esaurisce in una fredda e abitudinaria cronologia del proprio sostentamento. E’ la sorpresa di un nuovo paio di occhi e di un’energia segreta dentro le cose solite di tutti i giorni. Per questo e per altro ancora si spiega il titolo del disco che prende origine dal sanscrito e che indica la vita, la morte e la rinascita, o in senso figurato “l’oceano dell’esistenza”. Come una ruota. Quella stessa ruota che Alice ha spinto al limite delle possibilità con l’elettronica ed un certo tecno-minimalismo degli anni ’90 e che viene oggi bilanciata e risettata alla ricerca delle origini della sua intrinseca potenza motoria. Una ripetizione di percorso, un’inversione di rotta per scoprire e lasciarsi scoprire da quel presagio di bellezza che aveva agitato e sconvolto tempo fa la vita della carismatica voce forlivese.
Il pop contaminato delle prime collaborazioni con Battiato, le sortite nel mainstream da hit parade, l’alternarsi di intuizioni e ingenuità fino al grande passo d’autore con i capolavori Park Hotel e Il sole nella pioggia, canzoni colte e di largo respiro intrecciate con istanze rock di taglio anglosassone e paneuropeo. Con Samsara la cantautrice riscopre quei virtuosi compromessi musicali liberandosi di una certa sterilità sonora e riappropriandosi della intima musicalità di quei due grandi dischi alla luce dell’emergenza umana contemporanea.
Il disco offre per certi versi una ideale sintesi di tutti i percorsi e delle collaborazioni di Alice. La produzione e i suoni di Francesco Messina (già autore di alcuni dei suoi vertici creativi), la scrittura dei Mino Di Martino, dei Battiato e della stessa Alice come nucleo centrale del suo sound distintivo da almeno venticinque anni. A tutto questo si aggiunge un recupero ben dosato di pop-mainstream grazie alla collaborazione di Tiziano Ferro in due brani.
L’apertura dell’album è di straordinaria intensità. Morire d’amore – a firma Di Martino – avvince, ribalta e destabilizza con una rilettura di Giovanna d’Arco sotto la lente di Dostoevskij in un’empatia di testo e musica che lascia il segno. Un forcing sottile di chitarra acustica fornisce la materia, gli archi decorano, una ricorrente scia lontana di tastiera – struggente e celeste – centra la scena e rende tutto il dramma della straordinaria e tremenda vicenda della santa francese.
La passionalità ora immedesimata ora arcana del binomio Alice/Di Martino rivive anche nell’estetizzante ma misteriosa Un mondo a parte o nelle declamazioni quasi teatrali di Come il mare e della rimbaudiana Autunno già. Ad essa fa da contraltare l’inconfondibile impronta del Battiato di Eri con me (brano comune al nuovo album di quest’ultimo), venato del tipico impressionismo mistico del cantautore catanese così diverso eppure così contiguo e complementare allo stile sviluppato dall’amica di sempre. Vita, morte e rinascita si diceva e nel mezzo l’amore nelle sue declinazioni, negli slanci, nelle illusioni e negli stravolgimenti, nella sua disponibilità solo apparente ad aprirsi al mondo.
Se c’è una strada non può che essere quella di riscoprirsi come in un’infanzia degli affetti. Questo e altro emerge dall’andatura di Nata ieri, canzone piena di quelle astuzie da melodramma in pillole tipiche dell’autore Tiziano Ferro, nobilitata dai colori vocali impressi dalla cantante. E del resto il binomio Ferro/Alice si scopre vincente e pieno d’appeal con il pop-funky all’italiana di Cambio casa, contagioso nella sua irresistibile e pressante meccanica da singolo.
Il resto del disco è ben bilanciato tra la nuda incisività melodica di Orientamento, la magistrale e partecipata resa della bellissima Il cielo di Dalla, quella in forma di cameo della decurtisiana ‘A cchiù bella e di ultimo pensiero di Al mattino, quasi uno sguardo puro sul mondo al suo primo ridestarsi antimeridiano.
In definitiva un disco bello e profondo che oggigiorno è merce davvero rara persino tra senatori e senatrici delle sette note italiche. Canzoni e musiche, arrangiamenti e produzione che si servono e si alimentano come raramente è dato sentire e che nell’interscambio con le liriche sanno colpire e scuotere con quella grazia e crudeltà che interpella l’ascoltatore come l’artista stessa. Per chi si accosta a questo disco come per chi ne è autore serietà vuole che dopo niente sia più come prima.