A George Martin non piaceva come Pete Best suonava la batteria. Fu così che Pete perse il treno con la fama e il successo mondiale. Eppure quel 6 giugno del 1962, durante la prima audizione del suo gruppo alla Emi, agli studi Abbey Road di Londra, c’era lui a registrare il brano che sarebbe diventato il primo 45 pubblicato dei Beatles. In realtà, a Martin non piaceva neanche Ringo Starr. Tanto che la seconda registrazione di Love me Do, quella del 4 settembre, con appunto Ringo dietro ai tamburi venne inizialmente scartata. Fu chiamato un certo Andy White per una terza registrazione.
Ma il 5 ottobre, quando finalmente Love Me Do uscì nei negozi, per un motivo o l’altro, la versione prescelta era quella con Ringo Starr. E così anche Andy rimase un nome a pie’ pagina della storia. Ringo invece divenne… Ringo. E tanto basta. La cosa curiosa che George Martin non voleva neanche che Love Me Do fosse il brano ad apparire sul primo 45 giri dei Fab Four: doveva essere How Do You Do It?, pezzo di Mitch Murray. Martin infatti aveva messo sotto contratto Lennon e soci non per le loro qualità di autori, ma per quelle di interpreti. Ma alla fine vinse Love Me Do e la vita per i Beatles, George Martin e il mondo intero non fu più la stessa. Qualcuno ha detto che il 5 ottobre 1962 infatti è il giorno in cui iniziano gli anni 60, il decennio più folle, divertente travolgente e utopico del Novecento.
Ilsussidiario.net ha chiesto a Michelangelo Iossa, uno dei massimi esperti beatlesiani d’Italia, di spiegarci il vero impatto di questo disco e di questo cinquantesimo anniversario.
5 ottobre 1962: nei negozi di dischi esce ‘Love Me Do’ dei Beatles; cosa significa 50 anni dopo ricordare questo evento, è davvero come l’inizio degli anni 60?
E’ una di quelle date/spartiacque nella storia della cultura popolare contemporanea: il 5 ottobre 1962 usciva nelle sale cinematografiche “Dr. No” (in Italia “Licenza di Uccidere”), primo capitolo della saga di 007, e contemporaneamente veniva distribuito nei negozi di dischi “Love Me Do”, primo 45 giri dei Beatles. Londra prendeva così le redini della pop-culture, trasformandosi nell’epicentro assoluto dei Sixties.Per forza evocativa, impatto sulla cultura giovanile e profondità è senza dubbio la data più significativa per la ‘geopolitica’ del rock: “il giorno in cui la musica morì” ovvero l’incidente aereo del 1959 – cantato da Don McLean – che vide morire Buddy Holly, Big Bopper e Richie Valens segnò la conclusione dello strapotere statunitense sui territori del rock’n’roll. Lo scettro passava – di lì a poco – nelle mani dei musicisti dell’Inghilterra settentrionale.
Cosa significano oggi Beatles e anni 60: pura nostalgia di un’epoca piena di utopie o epoca che ancora oggi esercita una attrattiva sulla società contemporanea?
E’, con i ruggenti anni Venti, il decennio più scintillante di quel “secolo breve” che ha avuto proprio nei Beatles uno dei suoi documenti/monumenti più rilevanti, per dirla con lo storico Jacques Le Goff. Nonostante la guerra in Vietnam, le morti drammatiche di Luther King, di Malcolm X, dei fratelli Kennedy e le prime ombre sulla presidenza Nixon, il decennio 1960/1969 risulta agli occhi del cittadino occidentale ancora pieno di promesse, colmo di fascino. Ciò è dimostrato dalla forza dei cataloghi discografici di tipo antologico: gli anni Sessanta vendono e fanno vendere ancora moltissimo. Marketing e nostalgia vanno, in questo caso, a braccetto con senso della scoperta e repertori irripetibili.
Chi sono i Beatles quando pubblicano quel disco: solo dei ragazzini inconsapevoli di quello che stanno per scatenare?
Nel 1962 i Beatles erano ben consapevoli del loro straordinario impatto/live, costruito in centinaia di ore di palco ad Amburgo e nell’Inghilterra settentrionale, ma quasi del tutto ignari della loro forza espressiva su disco. George Martin, produttore e direttore artistico della Parlophone / EMI, decise di imprigionare su disco ciò che i quattro erano in grado di produrre al Cavern Club di Liverpool. Un autentico colpo da maestro. Brian Epstein, il loro manager, cercava di catturare l’attenzione dei discografici affermando che John e Paul conservavano nei cassetti “già cento canzoni composte da loro”. Era una piccola grande bugia, ma senza dubbio i due principali autori del quartetto avevano già sfornato un eccellente classico del rock, “I Saw Her Standing There”.
Come fu accolto quel disco quando uscì, da pubblico e critica?
Il disco entrò in classifica al diciassettesimo posto, salvo poi ‘recuperare’ terreno negli anni successivi all’esplosione della Beatlemania e raggiungere il fatidico primo posto in classifica. L’obiettivo di Epstein era quello di permettere alla band di fare capolino nella Top 20 inglese e farsi notare dalle radio. Leggenda vuole che la NEMS, il negozio di dischi liverpooliano dello stesso Epstein, avesse ordinato e acquistato circa 10.000 copie del 45 giri pur di consentire la scalata in classifica! Senza dubbio il pubblico dei teen-ager dell’area londinese iniziò a conoscerli attraverso ‘Love Me Do’, tanto che su alcuni manifesti promozionali della band, i quattro musicisti venivano presentato come “The Love Me Do Boys”, i ‘ragazzi di Love Me Do’!
Qual è secondo te la canzone più rappresentativa del loro repertorio?
Personalmente ritengo che gli studio years dei Beatles (1966 / 1970) siano una straordinaria testimonianza della grande eredità musicale lasciata dai quattro nel corso del Novecento, pur riconoscendo che la carriera dei Beatles vada interpretata nella sua parabola più ampia, un ‘tracciato’ articolato ma mai ridondante o stucchevole. Selezionerei, dunque, un brano del loro secondo quadriennio: è difficile scegliere…forse A Day In The Life: “I read the news today…oh boy!”
(Paolo Vites)