Milano, siamo verso la fine degli anni Cinquanta. In America, grazie a Elvis e ad altri nomi, da un paio di anni è scoppiata la rivoluzione del rock’n’roll. In Italia, dove ancor oggi le mode musicali e sociali arrivano con anni di ritardo, c’è un gruppo di ragazzi giovanissimi, ma pieni di entusiasmo e voglia di scoprire cose nuove, tanto da anticipare i tempi. Li tiene insieme la passione per la musica, e in un modo che sanno solo loro, riescono anche a procurarsi i primi 45 giri di rock’n’roll. A Milano, che già allora è la capitale della musica, c’è già una fiorente scena di club, locali notturni, dove questi ragazzi appena ventenni si incontrano. E’ in uno di questi club, il Santa Tecla, che secondo le leggende si conoscono Adriano Celentano ed Enzo Jannacci.



In  realtà si conoscevano già. Ilsussidiario.net ha chiesto a Jannacci di ricordare quella amicizia. “Una amicizia davvero lunga, quanti anni sono passati? Tanti” scherza nel suo tipico modo Enzo Jannacci. “Ci conosciamo da quando avevamo quindici anni per cui fai un po’ te, guarda quanto tempo che è passato”. Una conoscenza dunque cominciata ancora prima delle serate al Santa Tecla, come dicono invece tante biografie che si leggono in giro: “Sì, eravamo due ragazzi alla buona che si frequentavano dai tempi della scuola. Mi capitò di andare un paio di volte a casa sua, poi ci ritrovammo in posti come il Santa Tecla e lì cominciammo a fare progetti musicali”. Di fatto Enzo Jannacci era sul palco di uno storico evento, quando Celentano si esibì nel 1957 al Primo festival italiano del rock’n’roll: a suonare il pianoforte per Adriano proprio Jannacci. “Il rock’n’roll ci fece mettere insieme musicalmente in modo automatico, ci piaceva quella musica. Però ti dico una cosa: smettetela di chiamarlo il Molleggiato”.



Ride, Jannacci, con il suo sorriso un po’ malizioso: siamo d’accordo, ma come dovremmo chiamarlo allora? “Basta chiamarlo ancora oggi il Molleggiato, Adriano è tutto tranne che un molleggiato”. Ci tiene Jannacci a sottolineare come Adriano non sia stato e non sia per certi versi ancora oggi quella macchietta musicale con cui lo si è identificato a lungo: “Adriano è una persona molto intelligente, chiamarlo Molleggiato è solo ripetere alla nausea certi cliché. Non è mica un burattino che si muove e suona in un certo modo, è una persona piena di spirito, con cui è bello e piacevole starci insieme. Una persona molto spiritosa. Lo posso dire visto che ci sono cresciuto insieme e sono stati anni davvero molto belli”. Già, cresciuti insieme, con tanti altri straordinari protagonisti della musica italiana, ad esempio in quei giorni insieme a loro c’era anche un certo Giorgio Gaber, anche lui catturato dal rock’n’roll: cosa li rendeva così unici? Era il particolare clima storico del periodo, dove ogni giorno accadeva qualcosa di nuovo, nella musica e nella società?



 “Molti di noi  sono arrivati catapultati in quel periodo così ricco di avvenimenti, la fine degli anni cinquanta e l’inizio degli anni sessanta, ci siamo trovati dentro e ci siamo fatti prendere da questo vortice. Adriano in particolare veniva da una situazione familiare di povertà se così posso dire, aveva quello che io chiamo il vizio di essere povero. Era un esempio di povertà individuale e si diede da fare per uscirne. E ce l’ha fatta, con le sue doti”. E allora, caro Enzo, come dobbiamo chiamarlo adesso che dopo diciotto anni torna sulle scene per un concerto dal vivo? “Io lo chiamo in un modo solo: Adriano Celentano è un mito”. Questa sera, a guardare il Molleggiato… no, scusa Enzo, a guardare Adriano il tuo vecchio amico ci saremo tutti, e anche tu, ci scommettiamo.

(Paolo Vites)