“Storia di un minuto” è senza dubbio uno dei dieci dischi più belli della storia del rock italiano. Una pazzesca dimostrazione di creatività, di sensibilità tecnico-musicale, di passione innovativa: questo è il vero senso dell’album della Premiata Forneria Marconi che veniva dopo gli esordi dei New Trolls e delle Orme e che certificava al mondo l’esistenza di una “via italiana al rock”.



Uscito nel 1972, oggi quel disco viene riproposto a quattro decenni di distanza on in cofanetto di tre cd, “PFM-Celebration”, che raccoglie anche il secondo capitolo del discorso musicale della Premiata, “Per un amico”, con l’aggiunta di una serie di belle registrazioni dei primi anni di esibizioni live. Riascoltarlo significa riscoprire la bellezza pura di canzoni come “Impressioni di settembre”, “Dove…. quando”, “La carrozza di Hans”, “E’ festa”, che sono i primi vagiti di un gruppo che sull’asse creativo Mussida-Pagani-Premoli (e con l’iniziale benedizione di Mogol) è stato capace di farsi amare in Europa e negli Usa. Lirico e variegato, l’album d’esordio è seguito dopo pochi mesi dall’incisione di “Per un amico”, album nel quale si sente aria di assestamento e dove forse solo “Appena un po’”, “Generale” e soprattutto “Il banchetto” mantengono alto il clima creato (ma questa è una considerazione ingenerosa: per quegli anni e per la media dei prodotti italiani anche questa seconda prova è roba cosmica). Moog e violini, chitarre acustiche lavorate con maestria, influenze sinfoniche e fughe di impianto jazzistico, batterie efficaci e mai scontate e flauti, insoliti incroci tra rock e tradizione: ascoltare in quegli anni la PFM significava entrare in un mondo che la musica leggera italiana ignorava, percorrere strade mai battute, accettare influenze casalinghe mai ammesse e mai utilizzate. Merito dei singoli: oltre ai tre già citati anche Giorgio Piazza al basso e soprattutto Franz Di Cioccio, che fu il vero “motore” della band, cercano di assemblare buoni musicisti in grado di inseguire un suono davvero internazionale, scovando Mussida e Premoli e fidandosi della poliedricità di Pagani, che portò nel gruppo quegli strumenti che negli stessi anni erano la nota distintiva di molte formazioni britanniche.



Sembrano cose da tempi lontani, e in effetti parliamo di quattro decenni fa. E per continuare a parlare di vicende di quei primi anni Settanta, c’è da dire che stupendo, senza altri aggettivi, il libro che accompagna i tre cd del cofanetto “Celebration”. Storie dagli inizi della band, che è anche anche storia del rock italiano, con insoliti concatenamenti tra PFM e i Pooh di “Piccola Katy”, tra Teo Teocoli e Massimo Boldi. Preziosissimi i volantini e i poster che annunciano concerti e serate. Tra tutti il più bello è quello che lancia il festival rock di Novate, nel settembre 1971: una tre giorni al prezzo complessivo di 4mila lire con in scena New Trolls, Osanna, Delirium, Banco del Mutuo Soccorso, Claudio Rocchi, Trip, Orme, Nuova Idea, Balletto di Bronzo e addirittura i Colosseum. E, naturalmente, la Premiata.



La PFM, dove si sentivano echi di Genesis e King Crimson, Flock e pure qualche spruzzata di Gentle Giant (quelli di “Acquiring the taste”) con questi due album diventarono una realtà nazionale appetibile sul piano internazionale, se è vero che grazie a Greg Lake entrano nell’universo della Manticore e iniziano poi a collaborare con Pete Sinfield. Ma questo è solo l’inizio: la PFM a un certo punto si trova nel gotha inglese e americano, suona in tour con Santana e Allman Brothers, è un nome fisso delle zone medio-alte delle hit parade americane. E ci rimane per parecchi anni, proprio per merito di un connubio raro di radici italiane su linguaggio internazionale. In questo senso è interessante notare che le prime tre vere band nostrane – oltre alla PFM anche Orme e New Trolls, fatte le debite differenze di storia e ispirazione – si muovono tutte in ambito progressive, a dimostrazione che nei giorni della sua nascita il nostro rock era così fortemente permeato di influenze classiche da emergere come davvero speciale e  “italico”. E’ vero: in quegli anni il progressive dominava la scena europea, ma in quel dominio “the italians” avevano un tratto, una personalità, una originalità e un successo che poi non si sarebbe più ritrovata negli anni a seguire. Non a caso tra gli appassionati di rock progressivo di mezzo mondo il marchio italiano “tira” ancora parecchio.