“Fino ad oggi non ho mai preparato canzoni da presentare in pubblico e quindi non me le sono neppure studiate e memoria. A me importava scriverle e poi registrarle in sala di registrazione e quindi può darsi benissimo che di alcune canzoni mi sia anche dimenticato le parole……” Era il 1975 e il cantautore genovese commentava così la sua esibizione in un concerto divenuto piuttosto leggendario alla Bussola di Viareggio. Parole in libertà, commenti di introduzione, confessioni davanti alle platee, musiche e canto di questa come di altre duecento canzoni sono oggi il tesoro manifesto di Fabrizio De Andrè I Concerti (Sony, 16 cd, 99€), un cofanetto-libro di interesse artistico e musicale, ma pure culturale e storico, se è vero che la Fondazione De André ha deciso di mettere in vendita il prodotto non solo on-line e nei negozi di dischi, ma anche nelle librerie di mezza Italia.



Ci ha salutati nel 1999, Fabrizio De André, lasciandoci tredici album e cinque live “ufficiali”, con l’aggiunta di un’eredità cantautoriale di rara autorevolezza.  Qualcuno lo considera il più grande di tutti i nostri autori. Altri ne sottolineano l’abilità letteraria a scapito di una certa ripetitività musicale. Una volta Renzo Arbore mi disse che nessuno “pronunciava” la lingua italiana come Celentano e De André: grande intuizione. Di sicuro nessuno è riuscito a sposare melodia italiana, tradizione folk nordamericana e chansson francese come lui, scegliendo collaboratori di arte purissima (Bubola, Pagani, Reverberi, Fossati) per dar forma a quelle idee che forse da solo non avrebbe concretizzato. Anarchico e dotato di un’umanità singolare e indipendente, De Andrè è arrivato “tardi” sui palcoscenici, iniziando a girare l’Italia solo nel 1975, anno in cui circolavano già gli altri cantautori, mentre i fermenti del rock italiano davano vita ad una edizione tostissima del Festival del Palco Lambro.



L’operazione realizzata con questo corposo cofanetto da Dori Ghezzi è di quelle che di solito solo il mondo americano o inglese hanno il coraggio di fare. Una raccolta di concerti storici, realizzata grazie a registrazioni ufficiali e con il contributo di super-collezionisti, concepita non solo come compendio imponente di suoni e canzoni, ma anche (e forse soprattutto) come film leggibile su diversi piani: il primo piano è ovviamente il corpus musicale del cantautore genovese, che cresce, matura e cambia nei decenni; il secondo piano è il differente rapporto di Fabrizio con il suo pubblico, inizialmente “casuale”, poi sempre più dialogico ed etico-politico; il terzo è la rappresentazione inevitabile dell’Italia che si percepisce essere in movimento “davanti” ai concerti di De Andrè, un Paese che passa dal clima della Versilia alle contestazioni romane per terminare con il portare in trionfo l’autore di Marinella nei più grandi teatri italiani. Nel ’75 Fabrizio dice “Adesso facciamo una canzone più moderna, forse l’avrete sentita per radio” ed intona Il Pescatore. Nel ’97 il tiro si fa più alto quando presenta Smisurata Preghiera: “È la sintesi di tutto l’intero album… è una preghiera, c’è una invocazione a qualcosa che sia di più potente che abbia più potere del papà e la mamma e che si accorga di tutte le umiliazioni qui sono sottoposte tutte le minoranze… Questa preghiera è destinata ad una entità superiore che si accorga dei destini dei più umili. E’ una preghiera così fuori misura che l’abbiamo chiamata Smisurata: non l’ascolterà nessuno, noi però la cantiamo lo stesso, non si sa mai”.



La raccolta non è quindi solo un prodotto da ascoltare, ma come fosse figlio di grandi produzioni francesi (si pensi a Seul En Scene di Leo Ferrè, così pieno di parole oltre che di musiche essenziali) porta dentro sentimento e dubbi, riflessioni e confessioni (“Questa canzone l’ho scritta per un mio amico che si chiamava Nietzsche e anche per un altro amico che si chiamava Gesù Cristo”, dice a Brescia, nel 1975 presentando La cattiva strada), fotografando – come ci ha detto alcuni giorni fa Dori Ghezzi presentando l’opera – soprattutto l’umanità di De André, visto che la quasi totalità della sua opera musicale è patrimonio di tutti. Otto concerti, sedici cd, una mole di canzoni e arrangiamenti e sfumature impressionante. E una incredibile carrellata di accompagnatori, cioè il mondo dei migliori musicisti italiani, dalla prima storica tournée con i New Trolls di Gianni Belleno, Giorgio Usai e Ricky Belloni, al periodo trascorso on-stage con la Premiata Forneria Marconi (che qualità!), sino al periodo finale in cui si alternavano sul palco i figli Luvi e Cristiano (polistrumentista di enormi qualità), Michele Ascolese ed Ellade Bandini, Mauro Pagani e Mark Harris. E poi – in questo cofanetto lussuoso – ci sono le canzoni, tante, tantissime. Firmate De André e Bob Dylan, Massimo Bubola e Francesco De Gregori, Leonard Cohen ed Enzo Jannacci, George Brassens e Ivano Fossati. Oltre duecento canzoni, da Amico Fragile a Don Raffae, da Via della Povertà (la dylaniana Desolation Row) a La Guerra di Piero. Quali sono gli episodi migliori? La risposta alla seconda puntata di questo viaggio dentro al colossale cofanetto dei concerti di Fabrizio De André.