C’è chi l’ha definita la più bella canzone di Natale di tutti i tempi. Potrebbe essere vero, dipende da cosa si intende per Natale, ma anche cosa si intende della vita intera. Se la vita è una lotta, una battaglia quotidiana per rimanere a galla davanti alla nostra e altrui meschinità e se il Natale è quel momento in cui appare possibile che un bene trionfi sul male di vivere, allora questa canzone è senz’altro la più bella canzone di Natale mai scritta. Tra l’altro il brano, ripubblicato proprio in questo ultimo scorcio dell’anno in occasione del 25esimo anniversario dall’uscita originaria, sta salendo le classifiche in molti paesi, segno di quanto sia ancora oggi apprezzato dagli ascoltatori.
Fairytale of New York infatti è sì una bella favola, come suggerisce il titolo, ma è anche quanto di più realistico si possa ascoltare in una canzone. Realismo e spavalderia tutte irlandesi ovviamente, seppur di irlandesi che vivono a New York come tantissimi di loro. E’ in questo brano che il genio trasgressivo di Shane McGowan raggiunge il vertice di quanto scritto per il suo gruppo di sempre, i Pogues, o anche nei pochi suoi dischi solisti. Shane McGowan, un maledetto del rock, dimostra tutto il suo grande cuore in questa canzone. Qualche anno fa, dopo aver rivisto i Pogues in concerto dopo quasi vent’anni dalla prima volta, parlai con l’amico John Waters (che in un’altra conversazione mi aveva detto di considerare McGowan “un genio”) di quali condizioni miserabili fosse ridotto il cantante. Per tutto il concerto infatti, alla fine di ogni brano, doveva sparire per alcuni minuti dal palco: il motivo non si sa, ma l’ipotesi poteva essere una sola, cercare di recuperare con qualche sostanza medica, o non, le forze, visto che sul palco sembrava un derelitto alcolizzato con poco tempo rimastogli da vivere.
Waters, irlandese anche lui e con buona conoscenza di cosa sia l’alcolismo, mi disse: sì, è un peccato che sia ridotto così, ma è il suo destino e chi siamo noi per dire che non sia la strada giusta perché per lui in questo modo si riveli il senso della sua vita. Parole sagge come solo gli irlandesi sono in grado di dire. A onor del vero i Pogues sono recentemente apparsi in concerto a Parigi per celebrare con uno show unico i trent’anni della loro carriera: il concerto è adesso disponibile su cd e dvd (The Pogues in Paris: 30th Anniversary concert at the Olympia) e mostra un McGowan in condizioni senza dubbio migliori di quelle in cui lo vidi io l’ultima volta. Il tasso alcolico è però sempre evidente in questo straordinario e unico artista.
In Fairytale of New York c’è tutta la disperazione straziante di quest’artista, unita a una impagabile capacità di guardare oltre, nonostante tutto, come solo gli irlandesi possono avere. Disperazione e speranza infatti sono nel loro sangue in dosi uguali. Se ci aggiungiamo tutto l’alcol che solo loro sanno contenere si ottiene una miscela esplosiva, la stessa che ha dato vita alla “più bella canzone di Natale di tutti i tempi”. E’ un duetto con l’altrettanta straordinaria artista (inglese) Kirsty MacColl, sfortunatamente scomparsa alcuni anni fa in uno banale incidente di mare in Messico durante una vacanza. Nel nuovo live a Parigi il suo posto viene preso da un’altra cantante quando i Pogues eseguono questo pezzo, ma non è certo la stessa cosa. Nella sua interpretazione, la MacColl infatti sapeva infondere lo stesso livello di disperante speranza di Shane. Il senso della canzone è infatti tutto nella frase “I can see a better time where all our dreams come true”, posso immaginare un tempo migliore in cui tutti i sogni si avvereranno. Quel tempo lo posso vedere, non solo sognarlo o sperarlo.
Loro, due innamorati delusi e arrabbiati, si materializzano nel sogno di un ubriacone, Shane, sbattuto in cella. Si trovano a litigare per le strade di New York mentre una orchestrino della polizia sta suonando Galway Bay, brano tipico irlandese, come nelle migliori cartoline natalizie. Ricordano il passato, i sogni ancora interi e le speranze: mi avevi promesso Broadway, eri bella e dolce e “Sinatra was swinging all the drunks they were singing”, verso questo tra i più memorabili della storia del rock per saper racchiudere in una frase sola un mondo intero. Ma lei sbotta fuori una irresistibile serie di insulti a cui lui risponde da pari “You’re a bum you’re a punk you’re an old slut on junk flying there almost dead on a drip in that bed you scumbag you maggot you cheap lousy faggot”. Insulti che naturalmente non traduciamo. Terminando con un “buon Natale, prego Dio sia il nostro ultimo Natale”.
Ma i ricordi sono innegabili: avrei potuto diventare qualcuno e anche tu lo stesso, hai rubato tutti i mie sogni, ma da sola non ce la posso fare. Nonostante tutto, “ho costruito i miei sogni su di te”. L’evidenza è innegabile: ci si può far del male fino a quanto si vuole, si può tradire e pretendere di negare la realtà, ma un incontro è un incontro e non lo cancella la nostra miseria. Soprattutto se su quell’incontro si è cominciato a costruire qualcosa. Tu sei qualcosa di più, tu vali a prescindere da quanto sei uno stronzo. La melodia che alterna pacatezza e crescendo furioso è irresistibile, esprime la magia di una favola, irlandese naturalmente, con l’eco di una nostalgia insopprimibile: davvero questa potrebbe essere la più bella canzone di Natale, perché celebra un nuovo inizio, come dovrebbe essere ogni Natale, e lo fa con una musicalità straordinaria. E intanto i ragazzi della polizia di New York stanno cantando Galway Bay: le campane stanno suonando, è il giorno di Natale.