Il “Lohengrin” che ha inaugurato la stagione 2012-2013 del Teatro alla Scala si basa una lettura innovativa, e provocatoria, annunciata da Ronny Dietrich (drammaturgo) e Claus Guth (regista) in interviste e conferenze stampa nelle settimane che hanno preceduto la prima dello spettacolo. Credo sia utile approfondire un anello mancante a cui altri commentatori daranno meno attenzione : i contenuti cristiani del lavoro del tutto ignorati nell’interpretazione psico-analitica di Ronny Dietrich e Claus Guth. Pur se noto sperperatore di denari altrui e seduttore di donne anche esse altrui, Richard Wagner era a modo suo un luterano religioso e praticante. Pur nelle profonde differenze delle singole opere c’è un filo che lega Der fliegende Holländer, Tannhäuser, Lohengrin e Parsifal (scritte e composte in un arco di circa quaranta anni, dal 1843 al 1882), tre prima di cominciare a redigere anche il primo testo del Ring e la quarta dopo il completamento del grande opus e con il presentimento della fine dell’avventura terrena. Tutte e quattro giustappongono la religione dell’Occidente, specialmente quelle dei “vecchi Dei germanici” con il cristianesimo, visto (nel contesto storico dei libretti dei quattro lavori) come veicolo di modernizzazione anche politica e sociale.
Wagner è sempre stato un convinto e praticamente uomo di Chiesa (in questo senso va letto anche il suo saggio anti-semita scritto proprio quando l’unico direttore d’orchestra a cui affidava il suo ultimo lavoro era Hermann Levi, di stirpe e religione ebrea e a volte giovane compagno di letto della più matura moglie del compositore: era l’antisemitismo della borghesia della Pomerania dell’epoca).
Da giovane, Wagner aveva composto una cantata per coro ed orchestra sull’ultima cena (Das Liebesmahl Der Apostel) di cui è difficile trovare una registrazione. Aveva cominciato, mentre lavorava ad altri progetti e soprattutto al Ring, due opere a carattere religioso: una sulla vita di Gesù di Nazareth (Jesus von Nazareth, iniziata nel 1849 quando cioè aveva le prime idee sul Ring) e una su quella di Buddha (Die Sieger, iniziata nel 1855). Del primo è rimasto l’abbozzo di un libretto in cinque atti (molto fedele ai Vangeli). Del secondo esiste il testo completo in prosa. Nei due lavori, si intrecciano due temi fondanti: la tolleranza e la rinuncia.
Essi sono presenti in vario modo nelle quattro opere compiuteL’argomento di fondo Der fliegende Holländer (strutturata come un’opera romantica tedesca tradizionale, con arie, duetti, terzetti, cori ed anche una ballata che occupa buona parte della seconda scena) è il sacrificio per redimersi dopo il peccato più grave (la bestemmia). In Tannhäuser, ultima opera “tradizionale”, il tema è ancora lo scontro tra il mondo del peccato (inteso come lussuria – la praticava nella vita privata, anche dopo le seconde nozze con Cosima Listz, ma ne sentiva il peso e il rimorso) dei vecchi Dei (in particolare Venere) e quello del pentimento e dell’assoluzione data dal Papa in persona.
In Lohengrin, sottotitolato “grande opera romantica in tre atti” ma in effetti il primo musikdramacaratterizzato dal sinfonismo continuo (pur nella presenza di numeri “tradizionali” quali la “cavatina” di Elsa nel primo atto ed il “racconto” del protagonista del terzo, nonché del duetti nella stanza nuziale sempre nel terzo, vi è una vera e propria guerra tra i seguaci delle antiche religioni germaniche (omicidi e dediti alla stregoneria) e il mondo cristiano, di cui la forma più completa è il lontano tempio del Graal. Questa guerra si svolge mentre si prepara un conflitto tra i popoli e le genti di origine germanica e gli unni di matrice uralica che, invasa quella che ora è la pianura dell’Ungheria, marciano verso la conquista della Germania. Né la guerra tra paganesimo (Ortrud è chiaramente una pagana dedita alla stregoneria) e cristianesimo (la Fede di Re Enrico, Elsa e Lohengrin) né la difesa delle terre e della cultura tedesca sono presenti nella lettura psicoanalitica in scena alla Scala – una lettura per di più che svela il suo significato unicamente al terzo atto. Resta il terzo elemento della “grande opera romantica”: l’amore. Mentre in Wagner, però, l’amore è essenzialmente rapporto totalizzante di fiducia reciproca dei due protagonisti, in questa versione scaligera Elsa e Lohengrin sono due ‘outsider’ al resto di una società di capitalismo trionfante, che li annienta , giungendo alla tragedia finale.
Ho grande stima di Guth di cui ricordo la bella trilogia Da Ponte – Mozart a Salisburgo a “La Donna senz’ombra” di Richard Strauss alla Scala la scorsa stagione. E’ pieno di idee per svecchiare il teatro lirico e portarlo alle nuove generazioni. Temo però che questa volta non abbia colto nel segno non tanto perché ha smarrito l’elemento patriottico e religioso così forte in Wagner ma perché , nonostante l’abile recitazione, la bella scena fissa, e gli ottimi giochi di luce ha reso oscuro un’opera lirica, invece, limpidissima.
Tanto più che gli elementi fondanti di “Lohengrin” come lo scrisse e compose Wagner sono colti pienamente nella parte musicale: dalla concertazione maestosa di Barenboim, dagli accenti mistici ma anche guerrieri del coro, dalla magnifica vocalità e recitazione di Jonas Kaufmann, dalla purezza della linea canora di Ann Peterson, dalla forte drammaticità di Evelyn Herlitzius, alla solennità di René Pape, e al fuoco (forse di fine carriera) di Tómas Tómasson.