La morte di Whitney Houston squarcia il mondo della musica con un dolore improvviso, ma in qualche modo atteso. Da tempo la straordinaria cantante americana infatti si dibatteva nel tunnel delle droghe e dell’alcol, incapace di uscirne definitivamente pur avendoci provato molte volte. Whitney Houston è stata trovata morta ieri pomeriggio all’incirca verso le ore 16 ora di Los Angeles nella sua stanza dell’albergo dove alloggiava a Beverly Hills. In serata avrebbe dovuto prendere parte a una manifestazione canora dedicata al discografico che l’aveva lanciata al successo, Clive Davis, mentre proprio oggi si tengono sempre a Los Angeles le celebrazioni per i premi Grammy. Dunque è morta proprio nel momento della massima celebrazione della musica che lei ha incarnato così bene. Aveva 48 anni e il suo corpo è stato trovato dal suo attuale compagno. Al momento non ci sono ancora dettagli ufficiali per la sua morte, si ritiene forse una overdose di farmaci. Secondo Marco Mangiarotti, uno dei più importanti critici musicali italiani, contattato da IlSussidiario.net, “Whitney Houston era una donna fragile che è stata rovinata da un cattivo ragazzo, l’ex marito Bobby Brown”. Per Mangiarotti, Brown l’ha portata “in un tunnel di droga e violenza da cui non è riuscita a uscirne”. Rimane, aggiunge, una delle più grandi voci della music pop, superiore a tutte quelle che sono venute doppi di lei.
Mangiarotti, la morte di Whitney Houston: una morte annunciata o una sorpresa scioccante?
Whitney Houston ha avuto diverse possibilità di uscire dalle sue dipendenze, ma non ce l’ha fatta. Era una donna fragile che è stata rovinata da un cattivo ragazzo, l’ex marito Bobby Brown, che l’ha portata in un tunnel di droga e violenza. Sostanzialmente l’ha condotta a un vita di dipendenze totalmente negative.
Una grande perdita per il mondo della musica.
Certamente, dispiace molto perché è stata la prima cantante nera dopo sua zia Dionne Warwick la quale era diventata famosa per aver cantato il repertorio pop di Burt Bacharach, a diventare la più grande in un repertorio che in realtà era un repertorio popolare per tutti. Soprattutto per il grande pubblico bianco.
Whitney Houston era però una cantante di scuola afro americana.
Whitney usciva dalla scuola del R&B pur avendo radici soul, jazz e anche gospel. Aveva una grande voce e una grande tecnica. Poi il suo gusto musicale era diventato cristallizzato dalla produzione di Clive Davis il grande discografico dell’Arista Record che ha lanciato decine di artisti al successo.
Dunque aveva per così dire tradito le sue radici musicali?
Clive Davis ne ha fatto una grande stella del pop, ma così facendo l’ha ingabbiata in uno stile con la voce molto stinta che le ha dato un successo planetario, ma le ha tolto qualcosa dal punto di vista della capacità interpretativa. Whitney aveva una voce piena di dettagli che poi l’omologazione dell’industria discografica ha trasformato in una perfetta macchina vocale per decine di hit.
Che ne pensa del suo ultimo periodo musicale, del suo recente ritorno alle scene?
Personalmente ho amato molto il suo ultimo disco registrato con questa voce consumata dal dolore perché la riportava dalle parti di Billie Holiday. Quindi dalle altezze della sua tecnica e del suo strumento vocale a una interpretazione più pancia e di cuore, cose abbastanza inusuali per lei.
Ha avuto modo di vederla nel suo contestato ultimo tour di pochi anni fa?
No, In quel tour non è stata capace di recuperare quanto di buono aveva fatto nel suo ultimo disco. Non sono andata a vederla esibirsi perché avendola ascoltata nei suoi momenti migliori non volevo assistere a questo momento di grande tristezza che sono stati i suoi ultimi concerti.
In definitiva, una grande voce della storia della musica?
Sicuramente una delle grandi voci femminili del pop, molto più brava di quelle che sono venute dopo di lei. Non c’è paragone tra la qualità della sua voce e del suo talento con quante sono venute fuori in tempi recenti.