Emma ha vinto, viva la De Filippi! Ancora una volta, lo spettro della Costanzo’s family si aggira per le case degli italiani e sugli scaffali che contano. Potrebbe essere la pistola fumante del dominio definitivo della palestra e del testosterone vocale di Amici.
Dopo questo obolo sarà da vedere cosa la De Filippi sarà in grado di imporre l’anno prossimo al circuito musicale italiano. Ecco, se l’Amoroso dopo due dischi era già arrivata a proporre un disco dal vivo, aspettiamoci con Emma un Live at New York’s Madison Square Garden entro il 2013.
Voce ansimante e trafelata sulle medie della strofa che sbraca come sempre nel punch del chorus, vero e proprio caso anti-esemplare di spinta vocale esasperata e slabbrata.
Il resto lo fa la canzone che percorre con trita e fastidiosa maniera le strade impervie dell’invettiva d’autore offrendo una versione mesta e maldestra di certo canzoniere popolaresco interpretato al meglio da due grandi come Gabriella Ferri e la sottovalutata Francesca Schiavo.  Chissà che il bagaglio vocale – che comunque c’è – della Marrone non possa essere oggetto di una seria revisione nel gestirne tempi e modi di espressione.  Per ora un bel  4.
Ma al di là di questo trionfo di un cantare urlato e debordante è da vedere cosa di buono ha lasciato questo Festival a chi possa e voglia spingere la propria curiosità oltre l’approccio viscerale del trip agonistico festivaliero.
Dolcenera: la cantautrice salentina è tra i pochi artisti in Italia a fregiarsi di un’abilità incontrovertibile nella scrittura di grandi arie tra pop e melodia, rivestite di arrangiamenti di respiro internazionale che rappresentano una sintesi di tre decadi di musica: questa grande melodia a lievitazione graduale e inesorabile su una voce sempre più autorevole e distinitva non ha fatto eccezione.  La migliore scrittura musicale del festival con un disimpegno esemplare dal ritornello.  Voto 8.
Irene Fornaciari: brano vandesfrosiano arrangiato epico-marziale su uno scorrimento di archi tenero e violento, interpretato magistralmente dalla voce graffiante, nervosa e vitale della Fornaciari con la benedizione di un climax finale di chitarra elettrica solista.  La Fornaciari non è nel suo habitat ideale con le frasi brevi e secche di parti nevralgiche del brano ma esplode come nelle sue corde in quelle larghe.   Episodio di livello: 7 e mezzo.
Arisa: interprete di grande rilievo da sempre in cerca di un’ipotesi di repertorio.  Questo è un primo passo sulla via del dissotterramento di quel tesoro.  Bella melodia giocata con lucido senso drammatico tra pop e autore, lineari e sapienti curvature armoniche e il calibrato ed essenziale arrangiamento di Pagani: 7 e mezzo.
Nina Zilli: magnetica e fascinosa, occhi grandi e lineamenti radiosi.  Con un twang da fatalona fatto di vocali larghe e ugola che esplode con suadente naturalezza, la Zilli si colloca in un limbo folle e felice tra Winehouse e Mina, con una canzone che un ascolto superficiale e disattento può far liquidare come convenzionale ma che si snoda sottile, anti-monolitica e irresistibile per pathos e armonia echeggiando proprio il repertorio classico della tigre di Cremona.  Solo un peccato originale per quanto non trascurabile.  L’autore Roberto Casalino ha rovistato nella dispensa di Valentina Gautier e ha trovato un brano di Mina datato 1992 “Uomo ferito” (dall’album “Sorelle Lumiere”) offrendone una abile variazione con rimescolamento delle tessere che la compongono.   Nondimeno da ascoltare e riascoltare: 7 e mezzo.
Pierdavide Carone e Lucio Dalla: voce impostata su alte frequenze fin troppo sottili e languide nelle parti dolci, discrete sulle esplosioni graffiate anche se con l’incombente germe della vocazione strillonesca della scuola di “Amici”.  Brano dalla buona scrittura stile ballata popolaresca ancora reminiscente del repertorio della Ferri e dello stesso Dalla di “La sera dei miracoli”.  Nulla di particolare ma la linea e il disimpegno scorrono bene.  7.



Samuele Bersani: allegra filastrocca tra opera buffa e Beatles che addenta con forza il pentagramma nella strofa per riuscire più ordinaria e risaputa nel chorus.  E’ un brano lontanissimo dalla vena ispirativa del miglior Bersani e che si aggiudica per puro straforo imboscato il premio della critica.  6 e mezzo.
Noemi: voce che scivola alticcia tra Vasco Rossi e Irene Grandi. Un piglio interpretativo di rilievo per un’artista pressoché priva di repertorio: in tre anni circa di showdown, due sole grandi canzoni (“l’amore si odia” e l’impetuosa “Le luci dell’alba”). Qui l’ennesimo rock melodico nello stile dell’autore Fabrizio Moro. Ultra-convenzionale da reparto liquori di supermarket: 5.
Francesco Renga: cavalcata possente tra rock e vago sentore cameristico che riveste più di una canzone di Renga.  Ottima interpretazione di un brano complessivamente astuto e gonfiato di arrangiamenti e ammennicoli vari: 6.
Chiara Civello: pasta vocale di alta selezione, tonalità medie corpose, alti vibranti e luminosi.  Insomma una interprete sopraffina per un brano gradevole, rifinito e piuttosto ordinario sotto il profilo creativo che sta tra l’espressione mitteleuropea dei Matia Bazar anni ’80 e quella del pop-tango più rassicurante di “Brivido caldo”.  Stupiscono comunque alcune stroncature rivolte alla prestazione canora della nostra.  Avercene di voci così.  Voto 6.
Marlene Kuntz: ennesima emissione del trip alternativo sotto ipnosi rivestito di parvenze intimistiche d’autore e di pastarelle d’arrangiamento a mascherare la ricorrente assenza di tessuto armonico.  Tensione assente e quasi cercata per autoinduzione. Voto 5.
Eugenio Finardi: grande piglio da interprete di lunga esperienza, piena di stagioni della vita vissute intensamente e senza escamotage, tipico di chi ha chiamato le gioie e i dolori con il loro nome.  Peccato, davvero peccato per questa aria para-melodrammatica da canzoniere minimo dove la scrittura è latitante se non assente.  Voto 5.
Gigi D’Alessio – Loredana Bertè: una grande interprete, che pur ridotta in voce possiede tuttora i tempi drammatici della narrazione canora – e che un tempo contava su di un grande repertorio – appaiata ad un autentico parvenu dello star system.  Ad aggravare il tutto il team facente capo a un autore troppo spesso risaputo come Pennino qui battistiano nel senso regressivo e stanco del termone: Voto 5.
Matia Bazar: gruppo che un tempo giostrava di mestiere con le note mescolando estro, referenti culturali eleganti e provocatori o innervando la stessa melodia italiana di suggestioni assortite e sfacciate. Cassano ne era uno degli artefici (autore fra le altre di una irresistibile e memorabile aria mitteleuropea come “Io ti voglio adesso”) Di tutto ciò è rimasto il mestiere, anche di classe ma nulla più che rassicurante e borghese, pur con la bella voce svettante di Silvia Mezzanotte.  Voto 5.



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